La quiete favorisce i lunghi in USD

08/04/2019 14:00

La quiete favorisce i lunghi in USD

La quiete favorisce i lunghi in USD

By Peter Rosenstreich

All’inizio della settimana di contrattazioni, ai mercati mancano nuovi spunti in grado di fornire una direzione netta. La scorsa settimana i dati sul lavoro USA non hanno fatto chiarezza. Il dato NFP USA si è ripreso, salendo a 196 mila unità, a fronte delle 20 mila precedenti, lettura debolissima, mentre la crescita delle retribuzioni è scesa dal 3,4% al 3,2%.
Nell’insieme il rapporto non fornisce indicazioni sul ritmo del rallentamento economico USA e sulla potenziale direzione della Fed. Dalle buste paga sembra che il picco sia stato ormai superato, e, visto l’indebolimento marginale delle retribuzioni, probabilmente la Fed manterrà la sua impostazione attuale da colomba.

Crediamo che l’IPC in uscita questa settimana non cambierà questo quadro. Prima di cambiare di nuovo direzione, la Fed vuole prove chiare dell’accelerazione dell’inflazione. L’assenza di segnali chiari significa anche che dati solidi sul manifatturiero e sulle vendite di auto, sommati alla forte crescita dell’occupazione, produrranno un’espansione economica moderata negli USA.
Salvo che non vi sia uno “shock” (caos politico, guerra commerciale, ecc.), mettiamo in guardia dall’interpretare l’inversione della curva dei rendimenti come un segnale di recessione. Ancor di più considerando il flusso dei dati, secondo cui la crescita si stabilizzerà nel T1 e migliorerà nel T2.

Stando ai dati CFTC, stanno aumentano i lunghi in USD e i corti in euro. Questa tendenza indica che i mercati si stanno preparando a una fase di ampi differenziali fra i rendimenti USA rispetto agli altri paesi G10, bassa volatilità e corsi azionari stabili. A nostro avviso, alla luce dell’incertezza in Europa e nel Regno Unito, la forza dell’USD non svanirà a breve.

I prezzi del petrolio manterranno il ritmo

By Vincent Mivelaz

Il rimbalzo delle cifre sull’occupazione USA, le sanzioni in atto contro l’Iran e il Venezuela e ora l’escalation del conflitto in Libia, per non parlare del taglio della produzione dell’OPEC e dei progressi nei negoziati commerciali sino-americani, rimangono i principali fattori dell’attuale aumento dei prezzi del petrolio.

Nonostante l’accelerazione della produzione petrolifera negli USA, pare che i tori del greggio abbiano la situazione in pugno.

In effetti, stando all’EIA, le scorte di greggio per la settimana conclusasi il 29 marzo sono aumentate di 7,3 milioni di barili, mentre il conteggio settimanale delle trivelle per l’estrazione di petrolio e gas diffuse da Baker Hughes indica un aumento di 15 unità (+22 rispetto all’anno scorso), per cui negli USA, dopo la flessione di febbraio, sta riprendendo la produzione di scisti bituminosi USA.

Sembra, però, che il Gruppo dei 14 dell’OPEC abbia ancora l’ultima parola sui prezzi del petrolio, la cui fase di ripresa è iniziata nel dicembre del 2018, dopo la riunione dell’OPEC. Il quarto taglio della produzione voluto dall’OPEC (-295.000 barili al giorno a marzo; dato rivisto da -560.000 a -380.000 barili a febbraio) rimane costante e l’organizzazione dovrebbe mantenere il suo impegno attuale fino alla valutazione di fine giugno 2019.
L’aumento dei prezzi del petrolio dovrebbe quindi continuare, anche se rimane una forte resistenza risalente all’ottobre del 2018, invece un accordo commerciale positivo fra gli USA e la Cina potrebbe fornire una spinta. Bisogna però monitorare con attenzione il rischio che passi il cosiddetto decreto NOPEC.

WTI, Brent Crude e Shanghai Crude guadagnano il 39,80%, 35,40% e 24,30% nell’anno corrente.

Al momento a quota 63,36, il WTI si dirige verso 63,70 nel breve termine. Permane la forte resistenza a 76,41 (massimo 03/10/2018).

Autore: Swissquote Fonte: News Trend Online

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