Cosa si aggira sui mercati mondiali, cigno nero o avvoltoio?

03/10/2015 08:00

Cosa si aggira sui mercati mondiali, cigno nero o avvoltoio?

La politica di stimoli monetari da parte delle banche centrali mondiali, prima su tutte la Fed ma seguita a ruota dalla Bce, ha spesso dovuto ricevere la spiacevole accusa di favorire gli investimenti finanziari a discapito dell’economia reale, vero target (o presunto tale) delle manovre espansive.

Una buona "scusa"

Questo veniva sfruttato anche come una sorta di alibi morale dal momento che l’economia in sè non riusciva a smuoversi dal pantano che si era creato dopo la crisi del 2008, crisi che in Italia si è trasformata in una doppia recessione.

E per giunta consecutiva. A sua volta l’Italia era (ed è) reduce da un trentennio di mancate riforme non solo politiche ma anche industriali: mancanza di innovazione, competitività, investimenti, troppo campanilismo e, ancora di più, pressione fiscale che zavorra il settore della piccola e media industria, vera spina dorsale della produttività nostrana.
Insomma, ai difetti di una strategia finanziaria internazionale perpetrata in maniera continuativa (e spesso immotivata) si è aggiunta per Roma il problema strutturale. 

Solo adesso, però, a conti fatti, si scopre che nonostante tutto questo, anche l’ultima consolazione, quella rivolta a chi investe, è venuta meno: con il 2015 i dati finanziari stanno scemando e quello in corso potrebbe rivelarsi uno dei peggiori periodi del mercato post QE.

Materie prime

Il primo imputato a presentarsi davanti ai giudici è il settore delle materie prime.

La Cina è il mandante di un vero e proprio caso che dura da 15 mesi di ribassi continuati (Shanghai negli ultimi tre mesi ha perso quasi un terzo del proprio valore), che portano con sè il calo anche delle società ad esse legati. Caso eclatante quello di Glencore (che in un giorno, per la precisione lunedì scorso, è riuscita a perdere fino al 30% che diventa -70% se si guarda la prospettiva iniziando da giugno) così come le forti incertezze che aleggiano su nomi quali Rio Tinto e Bhp Billiton. 

A ruota arrivano i Brics che portano cn loro anche considerazioni di tipo “semantico”: se prima questi erano paesi promettenti e dinamici, adesso che non sono più nè l’uno nè l’altro, come dovranno essere considerati? Un esempio, il più eclatante ma non l’unico, è senza dubbio il Brasile, in recessione, oltre che paralizzato dagli scandali sulla corruzione e dal mercato del petrolio a sua volta in stasi e soggetto solo a brevi e minimi rialzi dovuti a fattori esogeni e contingenti.

I numeri che confermano

Analizzando sempre i dati non si può negare che il Bloomberg commodity index è sceso del 50% massimi del 2011 e del 15% solo nell’ultimo trimestre.

E questo è un dato di fatto.

Stesso discorso per i bond. La pressione cui sono stati sottoposti nel tempo li ha portati, a causa delle politiche di espansione, a un rendimento medio del1,4% per quelli di stato mentre quelli corporate Usa sono sfociati addirittura in territorio negativo mentre persino quelle high yield non piacciono più.
Alla base di tutto questo c’è un mix di fattori: la Fed ovviamente, con la sua futura scelta obbligata di rialzare i tassi che ha provocato l’esplosione delle emissioni, ma anche il petrolio e il crollo delle quotazioni del greggio che ha creato un caos sul settore dei titoli estrattivi, i primi, ma ormai non più i soli in difficoltà.

E qui il cerchio potrebbe chiudersi proprio con le compagnie di shale, indebitatissime e che hanno provocato il malumore su tutto il comparto obbligazionario: l’indice Merrill Lynch Global High Yield Bonds registra un -5% in questo trimestre e un -3% da inizio anno, il Bloomberg Commodity Index è sulla stessa strada con un -14% in tre mesi.

In tutto questo caos chi riesce a uscirne, seppur parzialmente, vincitore?  Dollaro (il dollar index vanta un +6,2%) e Treasury a 10 anni, apprezzatisi del 2,5%.

Banale? Forse, ma vero. 

 

 

nnFonte: News Trend Online

© TraderLink News - Direttore Responsabile Marco Valeriani - Riproduzione vietata

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