L’Iran minaccia di chiudere Hormuz. C’è da credergli?

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 26/04/2019 08:05

Il presidente Usa Donald Trump ha revocato le esenzioni a quei paesi (tra cui l’Italia) che, finora, potevano comprare petrolio dall’Iran. L’Iran, però, minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz. In pochi, però, credono che lo farà veramente.

 

La strategia di Washington

Entro il 1 maggio tutti gli scambi petroliferi con la repubblica islamica dovranno cessare.  Lo scopo: azzerare l’export di greggio iraniano mantenendo allo stesso tempo i prezzi del greggio in un range accettabile per il consumatore medio statunitense. Numeri alla mano dovrebbero venir meno 50 miliardi di dollari di entrate. Un taglio che, secondo la strategia statunitense, dovrebbe essere lo strumento migliore per portare l’Iran a diminuire il suo programma nucleare e la sua presenza attiva nei conflitti in Siria e Yemen. La risposta di Teheran è stata quella di minacciare la chiusura dello stretto di Hormuz. Ma si tratta di una minaccia credibile?

 

Cos’è lo Stretto di Hormuz

Di fatto lo Stretto di Hormuz rappresenta la via di transito principale nel commercio del petrolio con il 20% del traffico dei prodotti petroliferi trasportati via mare. Chiuderla significherebbe creare nuove, forti oscillazioni nel mercato del petrolio oltre che problemi nelle forniture e negli approvvigionamenti. Risultato: il rischio di un’impennata dei prezzi nell’immediato. Un’ulteriore problematica all’interno di un quadro già di per sé complesso ed eterogeneo. Un quadro che, a sua volta, riguarda non solo il settore energetico ma, in generale, la più ampia situazione internazionale.

 

La view di Goldman

Non è la prima volta che l’Iran minaccia una contromossa tanto eclatante ed è anche per questo motivo che gli analisti tendono ad essere scettici sulla sua possibile attuazione. Inoltre, come affermato da fonti statunitensi diverso tempo fa, il pericolo del rialzo del petrolio non sarebbe poi così estremo. Una previsione a cui fanno eco anche da Goldman Sachs che puntano sulla limitata portata dell’output iraniano livello internazionale come elemento di sicurezza. Infatti i 2,5 milioni di barili al giorno dell’export pre-sanzioni, si erano già da tempo ridotti a poco meno di 1 milione. Inoltre da diverse settimane le 8 nazioni che ancora potevano commercializzare il petrolio iraniano hanno già trovato nuove linee di rifornimento. Stando alla view di Goldman, a conti fatti, il secondo trimestre dell’anno dovrebbe vedere un Brent tra $ 70 e 75 al barile.

 

Lo scopo di Trump

La volontà del presidente Trump, però, sarebbe quella di coinvolgere anche l’Arabia Saudita nell’aumento della produzione di petrolio, convincendola ad aprire i rubinetti. Ryad, insieme al resto dei paesi Opec ed altre nazioni esterne tra cui la Russia, aveva iniziato una strategia di tagli sull’output per permettere la stabilizzazione delle quotazioni della materia prima

Attualmente il greggio si trova a scendere leggermente nella mattinata. Il Brent, infatti, arriva a 74,17 dollari al barile (-0,5%) mentre il Wti è a -0,63% ovvero 65,9 dollari al barile.  


Articolo a cura di Rossana Prezioso

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