Affidiamo la politica monetaria americana allo S&P500

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 17/12/2018 14:51

Osserviamo le turbolenze con un sano distacco. Il nostro modello di asset allocation da mesi ha prescritto un disimpegno dal mercato azionario che ora suona celestiale. Dal massimo di gennaio il MSCI cede ora il 15%, ma l'indice mondiale che esclude gli USA flirta con il bear market; una condizione peraltro ora formalmente denunciata da 14 borse fra le prime 23 per capitalizzazione.

Si conclude una nuova settimana difficile per Wall Street; la seconda di fila: una rarità, a dicembre. Quattro trilioni di dollari di capitalizzazione, sono stati bruciati negli Stati Uniti dal massimo del 20 settembre. E adesso i piccoli investitori iniziano a manifestare un certo disagio, per usare un eufemismo: la scorsa settimana ben 46 miliardi di dollari sono usciti dai fondi comuni azionari. Un deflusso che può rappresentare la prova della definitiva capitolazione, o la presa d'atto di un mutamento climatico epocale.

C'é ora chi sostiene che lo S&P abbia formalizzato un testa e spalle, in verità un pochino amorfo, la cui neckline - ottenuta congiungendo i minimi di fine marzo e fine ottobre - sarebbe stata per l'appunto violata venerdì. Magari una forzatura, certo; ma l'abbattimento del supporto a 2625 punti, se non immediatamente recuperato, rischia di aggiungere credibilità a questa lettura. Il RAY, che in estate ha raggiunto una lettura estrema, è ora soltanto neutro: strada da percorrere verso il basso ce ne sarebbe, prima di raggiungere un estremo di polarità opposta.

D'un tratto l'aumento del Fed Funds rate, atteso per dopodomani, è probabile ma non più virtualmente certo. Powell si trova in una situazione scomoda: se si mostrasse ancora una volta risoluto, rischierebbe di scontentare gli investitori; se clamorosamente replicasse il disimpegno adottato dal predecessore ad inizio 2016, denuncerebbe un deterioramento che fino a ieri era categoricamente escluso; e un'impotenza, da parte delle autorità: tanto varrebbe affidare la gestione della politica monetaria americana allo S&P500.

Osserviamo queste turbolenze con un sano distacco. Il nostro modello di asset allocation da mesi ha prescritto un disimpegno dal mercato azionario che ora suona celestiale. Dal massimo di gennaio il MSCI ACWI cede ora il 15%, ma l'indice mondiale che esclude gli Stati Uniti flirta con il bear market; una condizione peraltro ora formalmente denunciata da 14 borse fra le prime 23 per capitalizzazione. Wall Street finora ha retto ma perde vistosamente tenuta, e 3 degli 11 settori dello S&P sono ora in bear market conclamato; altri tre vi sono prossimi. Gli investitori iniziano a chiedersi se si tratti ancora di un fisiologico aggiustamento, come minimizzato insistentemente dagli strategist; o delle prime avvisaglie di un nuovo bear market globale. Nel 2019 Yearly Outlook, in preparazione, affronteremo con dovizia di particolari le prospettive per i prossimi dodici mesi. L'auspicio è di anticipare anche questa volta, eventualmente in nuova solitudine, gli eventi.


Gaetano Evangelista
www.ageitalia.net

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