Inflazione USA Giugno 2025: dati in aumento, ma nessun impatto immediato dai dazi
Nel mese di giugno 2025, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti è aumentato del 2,7% su base annua, in crescita rispetto al 2,4% di maggio. Su base mensile, l’incremento è stato dello 0,3%.
Parallelamente, l’indice dei prezzi alla produzione (PPI) è salito del 2,3% su base annua, ma è rimasto invariato rispetto al mese precedente.
Questi dati suggeriscono che i dazi commerciali imposti recentemente non hanno ancora avuto un impatto diretto sui prezzi alla produzione, che dovrebbero essere i primi a risentire di eventuali aumenti nei costi di importazione lungo la catena produttiva. Tuttavia, è probabile che gli effetti si manifesteranno nei prossimi mesi, considerando che molte aziende — come dimostrato dai dati sul PIL del primo trimestre — avevano accumulato scorte preventive quando l’amministrazione Trump aveva annunciato la possibilità di tassare i paesi con bilancia commerciale sfavorevole verso gli Stati Uniti.
Tassi d’interesse: nessuna sorpresa dai mercati
Nonostante l’aumento dell’inflazione, le aspettative di un taglio dei tassi di interesse da parte della Fed a luglio sono rimaste invariate. La probabilità di una riduzione resta praticamente pari a zero per la riunione di luglio, mentre sale al 50% per quella di settembre.
Trump contro Powell: tensioni crescenti
La reazione del presidente Trump ai dati macroeconomici non è stata in linea con quella dei mercati, che invece sembrano appoggiare la linea attendista di Jerome Powell, volta a evitare mosse affrettate di politica monetaria che potrebbero rivelarsi controproducenti in caso di un’accelerazione dell’inflazione nella seconda metà dell’anno.
Tuttavia, Trump ha alzato i toni: mercoledì ha nuovamente minacciato il licenziamento del Presidente della Fed, provocando un’immediata reazione negativa da parte dei mercati. Poche ore dopo è stato costretto a correggere il tiro, dichiarando pubblicamente:
“Non lo licenzierò, a meno che non emerga qualche frode”,
aggiungendo però che “non esclude nulla”.
Va sottolineato che il Presidente degli Stati Uniti non può licenziare il Presidente della Fed senza giustificazioni concrete, e una delle poche motivazioni legittime potrebbe essere una frode o cattiva condotta. In questo contesto, Trump avrebbe additato a Powell una spesa eccessiva rispetto ai preventivi per la ristrutturazione della sede della Fed, un’accusa che al momento appare infondata e poco credibile, ma che segnala un clima di forte tensione tra la Casa Bianca e la Banca Centrale.
Stagione degli utili USA Q2 2025: le attese degli analisti tra cautela e potenziale accelerazione
Con l’inizio della stagione degli utili per il secondo trimestre del 2025, l’attenzione di Wall Street è tutta rivolta alla capacità delle aziende dell’S&P 500 di battere le aspettative e offrire segnali sulla tenuta dell’economia statunitense. In un contesto di rallentamento moderato della crescita e di incertezza geopolitica, gli analisti si aspettano numeri solidi ma non spettacolari.
Le stime aggregate: crescita contenuta, ma positiva
Al 30 giugno 2025, la crescita stimata degli utili per le società dell’S&P 500 nel secondo trimestre è del +4,8% su base annua. Se confermata, rappresenterebbe la crescita più bassa dal Q4 2023, quando il dato si attestò al +4,0%.
Tuttavia, come avviene spesso, questa stima potrebbe rivelarsi conservativa, visto che storicamente molte aziende superano le attese nel corso della stagione.
Le aspettative settoriali
Gli analisti vedono una forte eterogeneità tra i settori:
- Tecnologia: attesa di crescita robusta, grazie alla domanda di AI e semiconduttori.
- Energia: utili in calo rispetto all’anno scorso, a causa di prezzi delle materie prime più bassi.
- Sanità: performance stabile, ma con attenzione ai margini.
- Finanziari: outlook misto, con alcune banche che potrebbero soffrire per l’inversione della curva dei tassi.
- Consumi discrezionali: incognita sulla resilienza della domanda interna.
Contesto macro: cosa stanno scontando gli analisti
Gli analisti stanno incorporando nelle loro previsioni diversi fattori macroeconomici:
- Inflazione in rallentamento ma ancora presente in alcuni settori.
- Tassi di interesse elevati, con la Fed che mantiene un tono cauto sulle tempistiche del primo taglio.
- Mercato del lavoro ancora solido, ma con segnali di normalizzazione.
- Debolezza della domanda estera, in particolare dalla Cina e dall’Europa.
Stagione delle sorprese? I precedenti lo suggeriscono
Nel 75% dei casi negli ultimi dieci anni, le società dell’S&P 500 hanno riportato utili superiori alle attese. In media, gli utili effettivi sono stati del 6,9% superiori rispetto alle stime iniziali, con un conseguente rialzo medio del tasso di crescita degli utili di circa 5,6 punti percentuali.
Se questo scenario si ripetesse anche per il Q2 2025, la crescita effettiva potrebbe superare il 9%, portando nuova linfa ai mercati azionari.
Prime indicazioni: dati misti dai primi risultati:
- Il 90% ha superato le attese sugli EPS.
- Tuttavia, le revisioni al ribasso delle stime nei giorni precedenti hanno limitato l’impatto positivo.
- Il risultato? La crescita stimata è scesa leggermente dal 4,9% al 4,8%.
Cosa aspettarsi nelle prossime settimane
Gli investitori monitoreranno da vicino i colossi tecnologici e industriali, considerati barometri chiave dell’economia reale e dei trend globali. Occhi puntati anche sui commenti delle aziende circa le prospettive per il secondo semestre 2025.
Un forte numero di sorprese positive, accompagnate da guidance solide, potrebbe spingere l’S&P 500 verso nuovi massimi. Al contrario, numeri deboli o outlook incerti potrebbero generare volatilità.
Conclusione
La stagione degli utili USA per il secondo trimestre 2025 parte da aspettative modeste ma positive. Se il passato è indicativo, è probabile che i risultati effettivi supereranno le attese, portando la crescita degli utili sopra il 9%. Tuttavia, con i mercati già ai livelli elevati, l’attenzione si sposta anche sulla qualità e sulla sostenibilità degli utili per il prossimo semestre.
Curiosità:
Cos'è il mercantilismo
Il mercantilismo è una teoria economica sviluppatasi tra il XVI e il XVIII secolo, basata sull'idea che la ricchezza di una nazione dipendesse dalla quantità di metalli preziosi accumulati (oro e argento) e da un saldo commerciale positivo. Per ottenere ciò, gli Stati promuovevano l'export, limitavano le importazioni con dazi doganali e controllavano strettamente il commercio.
Questo approccio, oggi considerato superato dagli economisti favorevoli al libero scambio, vedeva il commercio come un gioco a somma zero: un Paese vince solo se un altro perde. Tuttavia, in anni recenti — e in modo ancor più marcato dopo il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump nel 2025 — elementi del mercantilismo sono riemersi nella politica economica statunitense.
Trump e la visione neo-mercantilista
Dopo aver vinto le elezioni del 2024, Donald Trump è tornato alla presidenza nel gennaio 2025, e ha subito avviato una seconda ondata di politiche economiche nazionaliste e protezionistiche, coerenti con quanto già promosso nel suo primo mandato (2017–2021).
1. Dazi e guerra commerciale 2.0
Trump ha riattivato e ampliato i dazi su beni importati dalla Cina, ma anche dall'Unione Europea e da altri Paesi considerati "sleali" nei rapporti commerciali con gli USA. I settori colpiti includono acciaio, automobili, tecnologia e prodotti agricoli. In molti ambienti si parla di una vera e propria guerra commerciale 2.0.
2. America First: atto secondo
Lo slogan "America First" è tornato con forza nella comunicazione pubblica. La nuova amministrazione ha già avviato una revisione degli accordi commerciali multilaterali, privilegiando relazioni bilaterali dove gli USA possano esercitare maggior potere negoziale.
3. Sovranismo economico
L'approccio di Trump 2.0 è chiaramente neo-mercantilista: ridurre le importazioni, incentivare la produzione nazionale, e riportare negli USA le catene di fornitura globali, soprattutto nei settori strategici (energia, tecnologia, difesa, farmaceutica). Il governo ha introdotto sgravi fiscali e incentivi per le aziende che riportano impianti produttivi sul suolo americano.
Impatti globali e reazioni
L'approccio di Trump sta già generando effetti concreti:
- Tensioni con la Cina: Pechino ha reagito con misure speculari. Il clima tra le due superpotenze si è fatto di nuovo teso, con conseguenze sui mercati e sulle catene di approvvigionamento.
- Preoccupazioni in Europa: l'UE teme un'ondata di protezionismo globale. Alcuni Paesi stanno valutando risposte simili per tutelare le proprie industrie.
- Rischio inflazione e frammentazione globale: riportare la produzione "a casa" ha spesso un costo più alto. Gli analisti temono che il neo-mercantilismo possa alimentare l'inflazione e ostacolare la cooperazione globale su grandi temi come il cambiamento climatico o la regolamentazione dell'IA.
Conclusione
Con la rielezione di Donald Trump, il mercantilismo moderno ha ricevuto una nuova legittimazione al centro della scena economica mondiale. La sua visione dell'economia come una competizione tra nazioni, dove la forza sta nel produrre internamente e nel dominare le esportazioni, si contrappone frontalmente al paradigma del libero scambio globale.
Resta da vedere se questo ritorno al protezionismo porterà maggiore autonomia economica e benessere nazionale o se, al contrario, finirà per isolare gli Stati Uniti e frammentare ulteriormente l'economia mondiale.
LA SETTIMANA IN BORSA
Settimana piatta per gli indici azionari che hanno reagito con indifferenza alle notizie positive o negative che fossero. L'unica fiammata c'è stata mercoledì quando Trump ha minacciato di licenziare Powell, ma dopo un rialzo del cambio euro/dollaro e una immediata discesa degli indici azionari, il Presidente degli Stati Uniti ha pubblicamente smentito e tutto è tornato alla normalità.
L'Europa risponde con indifferenza alla lettera di Trump
In attesa delle contromisure dell'Europa ai dazi di Trump gli indici si sono mossi sulla parità per tutta la settimana con bassa volatilità e pochi spunti di interesse a parte il profit warning di Renault scesa del 16% in una sola seduta.
Morgan Stanley ha dichiarato che gli utili delle aziende europee sono vulnerabili per la debolezza economica dell'area euro e per la troppa euforia riguardo la ripresa economica, ma rimane un fatto che i listini europei hanno un rapporto prezzo utili a 15 contro il 25 del mercato statunitense.
Performance settimanali degli indici europei
I principali listini europei hanno chiuso sulla parità:
- DAX (Germania): +0,53%
- CAC 40 (Francia): +0,19%
- FTSE MIB (Italia): +0,31%
- FTSE 100 (Regno Unito): -0,07%
- EURO STOXX 50: -0,22%
- MSCI Europe: .0,08%
Trump e sembra guardare ai mercati finanziari
Se inizialmente Trump sembrava disinteressato all'andamento dei listini azionari, ora proprio da questi ottiene il suo consenso personale alle sue politiche spesso contradditorie. Tanto che mercoledì all'ennesima sparata contro Powell a seguito di un dato meglio delle attese dell'inflazione alla produzione minacciandolo di licenziamento, ha subito smentito dopo che il dollaro si era deprezzato e i mercati in pochi minuti avevano virato in rosso.
Wall Street insensibile a qualsiasi notizia
I listini americani chiudono in positivo e lo S&P giovedì ha registrato il 9° record storico dell'anno in corso:
- S&P 500: +0,59%
- Nasdaq: +1,51%
- Russell 2000: +0,23%
- MSCI World: +0,35%
Indicatori macro: nessun taglio dalla Fed il 30 di luglio
Se l'inflazione rimane sostanzialmente stabile seppure sopra l'obiettivo del 2%, le vendite al dettaglio in rialzo dello 0,6% dal -0,9% del mese precedente mostrano una economia in salute ed anche i dati sulle richieste di disoccupazione migliori delle attese confermano che il mercato del lavoro rimane stabile. Questo non sono proprio dati che hanno bisogno di un urgente taglio dei tassi di interesse, per cui Powell quasi sicuramente continuerà ad essere attendista.
Tecnica e valutazioni: una estate senza colpi di scena
La stagione degli utili va avanti con ottimi risultati considerate le basse attese degli analisti, forse troppo preoccupati dai dazi. Le imprese non hanno fatto intendere preoccupazioni per il futuro, forse sicuri di una marcia indietro del Presidente se le cose si mettessero male, tanto a questo ci ha abituati, cambiando idea e posizioni molto repentinamente come nel caso Russia Vs Ucraina, prima maltrattando Zelensky, per poi inviargli armi strategiche lasciando il conto per strada ai paesi europei e ora minacciando Putin di essere un duro, ma potrebbe costargli caro se non accetta una tregua.
Prospettive per la prossima settimana
Siamo nel vivo della stagione delle trimestrali, per la fine del mese diverse big tech comunicheranno i dati e probabilmente gli indici azionari toccheranno ulteriori massimi storici prima delle ferie di agosto. Forse sarà proprio quando saremo in vacanza che gli indici daranno la possibilità a chi non ha goduto di questo miracoloso rialzo dando troppa importanza allo story telling catastrofico che si era delineato intorno alla malattia di protagonismo di Trump. Intanto senza grandi sussulti gli indici americani per chi non se ne fosse accorto perché guarda i propri etf in portafoglio deprezzati dal cambio, sono sui massimi storici, come in quasi tutto il mondo, compresi gli emergenti e Bitcoin. Quando i mercati salgono tra lo scetticismo generale sono sani e prosperi.