Gli investitori temono più il Toro che l'Orso

11/06/2021 13:22

Gli investitori temono più il Toro che l'Orso

I massimi del 2000, del 2007 ma anche di febbraio 2020; hanno condiviso una caratteristica: l'azione mediana sottoperformava rispetto al mercato, che si sorreggeva sul contributo di poche società, non di rado sopravvalutato. Da settembre dello scorso anno, il copione si è rovesciato.

Uno dei vecchi adagi di Wall Street recita che in un bull market, le sorprese si manifestano sempre verso l’alto.
Se qualcuno riteneva che il galleggiamento in atto da settimane potesse preludere a qualcosa di spiacevole, ieri sera è stato ancora una volta costretto a ricredersi: lo S&P500 ha conseguito un nuovo massimo storico, eclissando un picco che resisteva dal “lontano” 7 maggio.

Il contatore di nuovi massimi assoluti sale dunque quest’anno a 28 volte. Il 2020 è stato memorabile, ma anche il 2021 non scherza, con ciascuno di questi primi sei mesi che ha visto la borsa americana conseguire nuovi record.

Gli investitori sentitamente ringraziano. L’asset allocation è salita al 70-75% all’inizio di novembre, e da allora non è mai scesa sotto; casomai, è salita ulteriormente: una massima esposizione che ha consentito di massimizzare i guadagni.

Questo, in un contesto umorale complessivamente tiepido: il Fear&Greed Index ieri sera si attestava al 52%.

Neutrale. Secondo il sondaggio condotto dalla AAII, gli investitori che si professano neutrali circa le prospettive del mercato azionario, sono saliti questa settimana al 39% del totale. Il Toro fa molta più paura dell’Orso.

Un fenomeno, diremmo, perlopiù americano che globale.
In Italia il Greed Index si colloca stabilmente a tripla cifra, denotando un certo entusiasmo da parte degli investitori tricolori. Le borse mondiali sui massimi (almeno) annuali sfiorano il 40% del totale; ben più dei settori della borsa USA sui massimi a 52 settimane: poco più del 12%.

In altre parole il resto del mondo sta assumendo la leadership, raccogliendo il testimone da un listino, come quello americano, che oggettivamente ha tirato la volata e adesso si può concedere il lusso di occasionali consolidamenti. Salvo di tanto in tanto mostrare il suo pedigree, migliorando per l’appunto i massimi storici.

È soprattutto una questione di pesi e capitalizzazioni.
Se lo scorso anno si stigmatizzava giustamente la natura elitaria del rialzo, che costringeva gli investitori a privilegiare le sopravvalutate società del FANG per partecipare al rialzo; oggi la crescita è più corale, armoniosa e dunque sostenibile: il rapporto fra lo S&P, nella versione equiponderata, e lo S&P500 capitalizzato, punta fermamente verso l’alto da oltre nove mesi.

Una bella differenza rispetto al comportamento, censurabile, di inizio dello scorso anno, quando ad evidenza il rapporto EW/500 evidenziava una netta inclinazione negativa in prossimità del massimo assoluto.

A ben vedere, tutti i massimi passati sono stati preceduti da un deterioramento della fibra di mercato, il quale si sorreggeva sul contributo di “poche” società ad elevata capitalizzazione. Oggi si registra l’opposto.

Autore: Gaetano Evangelista Fonte: News Trend Online

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