Surplus commerciale record per la Cina, dicono. Che sorpresa, vero? Siamo tutti scemi, ma mica così tanto da non capire dove stia il trucco.
Sì, avete letto bene: la Cina piazza un avanzo commerciale da urlo, mentre il resto del mondo si attorciglia sulle proprie miserie, tra tariffe e minacce che cambiano ogni due mesi, come le mutande. Gli esportatori cinesi si sono svegliati una mattina e hanno detto: «Ah, il mercato americano ci chiude la porta in faccia? Nessun problema, c’è tutto il resto del pianeta che ancora non ci odia abbastanza!» E zac, via di spedizioni verso i paesi dell’ASEAN come se non ci fosse un domani. Altro che resilienza, qui è pura sopravvivenza alla darwiniana, con la differenza che i panda li tengono in gabbia e gli imprenditori li lasciano liberi di sbranare tutto.
Gli americani fanno la voce grossa con le tariffe? I cinesi le aggirano come i furbetti del cartellino aggirano il timbro in Comune. E quando gli Stati Uniti si svegliano e fanno nuove leggi, “svelando” la pratica del transhipment (“Oh mio Dio, importano da Vietnam la roba che producono a Shenzhen!”), la risposta è una sonora risata. «Bene, ci mettete la tassa anche lì? Vediamo quanto ci mettete a capire che pure il Laos, la Cambogia e la Malesia non sono lì a pettinare le bambole.»
Poi arriva il genio di turno, il funzionario di Pechino, che annuncia tronfio: “La Cina ha resistito alla pressione esterna!” Eh grazie, con il dollaro che scorre come prosecco gratis a un matrimonio di cafoni, chiunque vorrebbe essere sotto pressione così. E non venitemi a raccontare la storiella del “mercato interno che rallenta”. Ma dove? La verità è che la Cina esporta perché la sua gente, quando ha qualche soldo in più, lo mette sotto il materasso, altro che consumi interni.
Intanto l’Europa, come sempre, sta a guardare queste guerre commerciali con la stessa faccia beota con cui si ascolta la conta delle pecore durante una riunione di condominio. Avete mai visto una strategia europea? Sì, certo, sulla carta. E poi tutti a chiedersi “come mai non cresciamo?” Ma va’ a sapere.
Il vero capolavoro è che pure chi cerca di mettergli i bastoni tra le ruote, alla fine si ritrova a comprare componenti cinesi, magari passati attraverso quattro dogane giusto per sporcarli un po’. Ma che credete, che la globalizzazione si fermi con una tassa? Svegliatevi: il commercio internazionale è come l’acqua, trova sempre una fessura.
E mentre voi siete qui a leggere grafici e statistiche, loro fanno utili con la rapidità con cui la vostra banca cambia le condizioni del conto corrente senza avvisarvi. Perché? Perché sanno reinventarsi in un nanosecondo, mentre la maggior parte dei nostri “imprenditori” pensa ancora che per vendere all’estero basti tradurre il sito con Google Translate.
D’altronde, in Italia si pensa ancora che diversificare significhi mettere il prosciutto sul panino col formaggio. In Cina, significa prendersi mezzo mondo mentre gli altri litigano su chi deve pagare il caffè.
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