Brexit: arriva il secondo no. Cosa succede ora?

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 13/03/2019 10:45

Un iter che resta ancora complicato. Un passaggio che si dimostra oscuro. Una politica che non riesce ad indicare una strada perché, lei per prima, è divisa al suo interno.


Punto primo: incertezza

E’ questa incertezza perenne, unita all’altrettanto perenne complessità di un processo mai affrontato prima nella storia, ad aver causato la debolezza della sterlina. Debolezza che, però, potrebbe essere presto cancellata. Ma cosa occorre perché ciò avvenga? Il rally scatterà, a questo punto, solo ed esclusivamente qualora la lunga strada verso il divorzio venisse spianata. In qualsivoglia modo. Opzione che, sfortunatamente per la divisa britannica, allo stato attuale delle cose, difficilmente si potrà verificare.

 

Punto secondo: divisione politica 

Non è servita, infatti, la maratona diplomatica a cui si è sottoposta il premier britannico Theresa May. Alla fine è stata bocciata anche la seconda proposta. E anche questa volta con un’ampia maggioranza. Sono stati in 391 a votare No mentre i Sì si sono limitati a 242. Magra consolazione per Theresa May sapere che questa volta i voti di scarto si sono limitati a 149, invece dei 230 di gennaio.

 

Cosa succede adesso?

L’appuntamento, adesso, è per la prossima votazione che si terrà già oggi e riguarderà la possibilità di un’uscita dall’Unione senza un accordo. In questo caso il responso sembra essere favorevole alla volontà di trovare un’intesa. Ma a questo punto il 14 marzo, quindi domani, sempre il Parlamento dovrà capire se questa intesa potrà contemplare un allungamento dei tempi fissati con l’invocazione, da parte di Londra, dell’applicazione dell’articolo 50, lo stesso che permette ad uno stato di dire addio all’Unione. Facile? Non ancora.

 

La via smarrita

Per riuscire ad ottenere un risultato, i parlamentari dovranno presentare una motivazione. In altre parole: dare la colpa a qualcuno o qualcosa, che non sia riconducibile alla loro condotta. E dal momento che, con le ultime trattative chiuse nella notte dell’11 marzo la Commissione Europea ha fatto concessioni e dimostrato tutta la sua buona volontà, appare quanto mai improbabile che si possa imputare alla cattiva fede europea una qualsiasi colpa.

 

Ottenere un rinvio

La deadline è fissata per il 29 marzo. Ma per un rinvio è necessario che, prima, si sia capito cosa fare. In altre parole: fino a quando non sarà chiara la volontà politica attraverso la quale procedere, non sarà possibile nemmeno decretare l’addio. Infatti per legge la separazione può essere sancita solo per volontà del parlamento e non del governo. A questo punto, perciò, sarà essenziale capire cosa il Parlamento vuole fare e come farlo.

 

E se ci fosse un secondo referendum?

Altra, ennesima difficoltà visto che persino le fronde sono a loro volta divise al loro interno. Infatti in molti sono indecisi se trovare un terzo accordo oppure, extrema ratio, accettare l’uscita senza nessuna intesa. Paradossalmente, a questo punto, potrebbe tornare in auge persino un possibile, secondo referendum, strada da tutti criticata, ma pur sempre meno pericolosa di un no-deal exit. Intanto Jeremy Corbyn è tornato a chiedere le dimissioni della May.

 

May: dimissioni unica strada?

Un Corbyn che è lui stesso un perfetto esempio della confusione presente nel panorama politico. Il leader dei laburisti, infatti, aveva sempre negato la possibilità di un secondo referendum, salvo poi accettarla non più tardi di qualche settimana fa, spiazzando tutti, mercati compresi. Un Corbyn che adesso, dopo il secondo No della Camera dei Comuni, è arrivato ad avanzare la proposta di un piano B per una soft Brexit. Il tutto, parallelamente alla richiesta di nuove elezioni politiche. Detto questo, ogni giorno, da oggi, può essere decisivo. 


Articolo a cura di Rossana Prezioso
 

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