L’ITALIA POST COVID TORNERA’ AL 1998. WARNING PENSIONI.

Salvatore Gaziano Salvatore Gaziano - 10/11/2020 09:58

La discesa dello spread BTP BUND a valori vicini ai minimi di 4 anni fa e il successo annunciato del collocamento del BTP Futura uniti all’exploit di Piazza Affari di ieri (+5,43%) potrebbero far pensare magari a un risparmiatore o cittadino italiano di trovarsi quasi nel migliore dei mondi possibili e che tutto sommato la pandemia non sta indebolendo più di tanto il nostro Paese e in realtà le cose non sono probabilmente così è la forza e attrattività dei titoli di Stato italiano è quasi interamente dovuta alla mano compratrice della Bce che sta comprando tutti i titoli governativi dell’Eurozona come se non ci fosse un domani ed è arrivata a detenere quasi 500 miliardi di euro di titoli nostrali fra vecchio QE (Quantitative Easing e nuovo Pepp, il programma di acquisti pandemico nato per fronteggiare la crisi indotta dalla pandemia da coronavirus). Quasi un quarto del debito pubblico italiano.

L’euforia per l’Italia va quindi un po’ ridimensionata considerato che se si volesse considerare il livello dei tassi d’interesse decennali sui governativi europei se l’Italia sembra offrire pochissimo con un 0,7% sul BTP 2030 il debito portoghese è arrivato allo 0,14%, quello spagnolo allo 0,16% e solo la Grecia (che ha però un debito pubblico nettamente superiore al nostro e non è certo il secondo Paese manifatturiero in Europa) offre qualcosa più dell’Italia (lo 0,8%) mentre agli antipodi c’è la Germania il cui debito decennale vale -0,5% ovvero un investitore che compra un bund tedesco avrà meno di quanto investe e perderà (a livello nominale e non reale perché se c’è inflazione perderà sicuramente di più) lo 0,5% all’anno.

Nel post-pandemia l’Italia non sarà comunque “più bella, forte e più superba che pria” ci dicono già tutte le statistiche economiche internazionali. Anzi secondo i dati rilasciati nelle scorse settimane dal Fondo Monetario Internazionale (e prima di calcolare gli effetti dell’ultimo lockdown annunciato ieri in molte regioni chiave italiane) la nazione che nel triennio 2019/2021 vedrà fra i Paesi più sviluppati il Pil scendere di almeno il 6% c’è proprio il Belpaese.


 

L’impatto della discesa del Pil per effetto della pandemia (e secondo alcuni per la gestione della pandemia)  è veramente un duro colpo per l’Italia e l’ufficio studi della CGIA di Mestre ha calcolato che la botta che il PIL che l’Italia accuserà nel 2020 (circa -10%) riporterà indietro le lancette di 22 anni, addirittura al PIL dell’Italia del 1998.  L’anno in cui 2 studenti dell’università di Stanford, fondarono una società con uno strano nome: Google.
Nel nuovo millennio l’Italia ha iniziato a staccarsi dal resto del mondo ma in peggio.
Dall’inizio del 2000 fino al 2018 la ricchezza nel nostro Paese (Pil) è cresciuta mediamente dello 0,2 per cento ogni anno. Niente a che vedere con quanto successo nei due ventenni precedenti. Se tra gli anni ’80 e ’90 la crescita è stata del 2 per cento, tra il 1960 e la fine degli anni ‘70 l’aumento del Pil era stato addirittura del 4,8 per cento medio annuo.

La pandemia sta dando un colpo mortale all’economia italiana e la situazione è insomma seria. E non basta certo confidare solo sullo “stellone”, quel misto di fortuna e arte di arrangiarsi che proteggerebbe lo Stivale dalla sua stessa imprevidenza. E probabilmente nemmeno solo sul Recovery Fund perché seppure le risorse comunitarie messe in campo saranno ingenti se si sbagliano a investire questi soldi, si gestiscono male o lo si sprecano sarà durissima invertire la rotta e già la gestione della seconda ondata sta dimostrando tutte le fragilità di visione ed execution di questo Paese.
Abbiamo trattato in parte questo argomento della “fragilità Italia” come SoldiExpert SCF, società di consulenza finanziaria indipendente, in una conferenza dove abbiamo provato a fare il punto sulla situazione previdenziale pubblica e privata in Italia con la partecipazione di Giuliano Cazzola, uno dei massimi esperti del sistema pensionistico italiano, ex dirigente generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e vice presidente della Commissione lavoro della Camera dei Deputati nella XVI legislatura. E di Edmondo Rho, consigliere nazionale Fnsi, per 12 anni nel consiglio di amministrazione dell’Inpgi (l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani), uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti in pensioni e previdenza.

Il quadro emerso è purtroppo ricco più di ombre che di luci hanno evidenziato tutti i relatori (e per chi volesse rivedere la conferenza è possibile farlo sul canale YouTube di SoldiExpert SCF all’indirizzo bit.ly/allarmepensioni  ). Quest’anno anche per effetto delle spese straordinarie che l’Inps ha dovuto mettere in campo, la percentuale della spesa pensionistica italiana impatterà per il 17% sul PIL superando i 300 miliardi di euro. Più di noi in Europa spende solo la Grecia per le pensioni in rapporto al PIL: la media europea si aggira intorno al 13% e il livello del 17% o perfino superiore impatterà per decenni sui conti pubblici italiani visto che le attuali proiezioni vedono solo dal 2045 una discesa di questo “plateau”.

Chi andrà in pensione nei prossimi lustri vedrà quindi un rischio sempre più concreto di vedere ridursi l’assegno pensionistico, calcolato secondo il sistema retributivo ma anche contributivo ha ben spiegato il professore Giuliano Cazzola, visto che le future pensioni saranno pagate dai futuri lavoratori in una sorta di “patto di Sant’Antonio” con i futuri pensionati, perché anche dalla curva demografica non arrivano buone notizie.

Senza risparmi aggiuntivi per le prossime generazioni non ci sarà un’adeguata protezione della vecchiaia.

Il crollo delle nascite che già in Italia era in essere da molti anni si sta ulteriormente accentuando in questi mesi e a 9 mesi dal lockdown già si contano 12 mila bambini in meno.
Fra meno di 3 lustri il 30% degli italiani avrà più di 65 anni e già oggi in molti comuni in Italia (circa 500) il numero dei pensionati è superiore a quello dei lavoratori attivi.

Gli interventi di tutti i partecipanti hanno messo in evidenza le difficoltà dell’attuale sistema in assenza di interventi di riforma abbastanza radicale sia sul fronte della previdenza pubblica che quella complementare che in Italia non è mai decollata. E fra le ragioni di questo flop come ha evidenziato il professore Giuliano Cazzola il fatto che la previdenza complementare in Italia fu avviata “in un’altra epoca e che vedeva il lavoratore dipendente a tempo indeterminato come figura cardine”.

Il mondo è molto cambiato in questi decenni e se una volta chi andava in pensione poteva riscuotere un assegno pensionistico di circa il 20% inferiore oggi le proiezioni ci dicono che sarà nel 2030 magari del 40% inferiore per un lavoratore dipendente con 36 anni di contributi e addirittura del 60% inferiore se è un lavoratore autonomo.

Proiezioni calcolate senza considerare nuovi interventi al “cantiere pensioni” che fra qualche tempo (ora è un argomento troppo spinoso da affrontare) torneranno di drammatica attualità e che dovranno vedere anche un intervento serio sul fronte della previdenza integrativa che oggi sembra essere costruita per farne un pascolo soprattutto per banche e assicurazioni a differenza di altri Paesi sviluppati che hanno ampliato (e di molto i limiti di deducibilità) e soprattutto consentito ai lavoratori e risparmiatori di selezionare da soli o con l’aiuto di consulenti gli strumenti più convenienti (esempio piano di accumulo su ETF)  piuttosto che far tosare i risparmiatori con costi assurdi su prodotti finto attivi.

Oggi al di fuori della previdenza pubblica la previdenza complementare e integrativa possono essere una stampella importante ma attenzione sempre ai costi e alla qualità della gestione.
Se il capitale è investito male ed eroso dai costi il vantaggio fiscale come anche il contributo del datore di lavoro nel caso dei fondi di categoria possono essere divorati da una cattiva o costosa gestione.

Attenzione in particolare ai Pip (piani individuali pensionistici) venduti da reti e assicurazioni (e che in Italia sono attualmente la forma di previdenza complementare più collocata!) che evidenziano oneri mediamente superiori di 4 volte a quelli dei fondi negoziali per i comparti garantiti, di oltre 5 per quelli obbligazionari, di sei volte per i bilanciati e per oltre 7 per quelli azionari. Con simili zavorre la rendita è per chi vende, non per chi acquista. E’ pure follia come alcuni lavoratori stanno facendo acquistare PIP dove i costi annui sono di quasi il 3-4% annuo! La pensione la si sta pagando agli assicuratori!
Un indice sintetico di costo superiore del 2% invece che dell’1% può ridurre il capitale accumulato dopo 35 anni di partecipazione al piano pensionistico di circa il 18 per cento. Chi sceglie un Pip al posto di un fondo di categoria, in sostanza, si condanna a una pensione complementare defalcata dal 20 al 40% circa a seconda dei comparti.

Come ha ben sintetizzato Ferruccio de Bortoli, ex direttore del “Corriere della Sera” e de “Il Sole 24 Ore” se una volta il mito degli italiani e il traguardo finanziario da raggiungere era la casa oggi questo dovrebbe essere invece la pensione.
E per raggiungere questo obiettivo bisogna partire dalle basi…
E per questo motivo ragionare oggi in termini di pianificazione degli investimenti, diversificazione (ovvero evitare assolutamente l’eccesso di concentrazione in un settore, titolo o Paese) e strategie è più importante che mai.
E per questa ragione come società di consulenza finanziaria indipendente (e iscritta all’Albo OCF) reputiamo che la finestra che c’è in questi mesi per i risparmiatori per prendere decisioni importanti sul proprio patrimonio (e non basate solo su consigli spesso in conflitti d’interessi) sia vitale. E passi da scelte consapevoli e lungimiranti di finanza personale perché se si attende che sia la Politica a risolvere la situazione vedendo i dati economici-finanziari dell’Italia di questi ultimi decenni c’è purtroppo poco da essere fiduciosi indipendentemente da qualsiasi opinione politica.    

Articolo a cura di Salvatore Gaziano
SoldiExpert SCF

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Per chi volesse scaricare la guida in pdf "Vivere di Rendita: sogno o realtà" che Roberta Rossi, consulente finanziario indipendente e responsabile della consulenza personalizzata di SoldiExpert SCF, ha presentato in anteprima l'indirizzo web è viveredirendita.soldiexpert.com 

Per chi desiderasse approfondire il contenuto in formato video consigliamo il canale YouTube di SoldiExpert SCF all'indirizzo bit.ly/allarmepensioni 

Una sintesi dei contenuti è stata pubblicata sul nostro blog di SoldiExpert.com all'indirizzo bit.ly/pensioniarischio

Articolo a cura di Salvatore Gaziano - SoldiExpert SCF (https://soldiexpert.com/), società di consulenza finanziaria indipendente.



 

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