CAPITOLO 4

L'EFFICIENZA DEI MERCATI

4.2.2     Verifiche empiriche

     Gran parte della verifica empirica che si sviluppa in seguito a questa elaborazione teorica, a sua volta scaturita dall'evidenza empirica preesistente, riguarda la verifica dell'efficienza (all'inizio soprattutto l'efficienza debole).
I test più usati per la verifica dell'efficienza debole sono quelli tipici delle serie storiche, mentre per l'efficienza semiforte sono molto impiegati i test di causalità oltre a studi di casi, che ricercano le eventuali anomalie sistematiche del comportamento prima e dopo certi eventi.

     È doverosa peraltro una precisazione, che fu inizialmente evidenziata da Ball 1, sui risultati scaturiti dalle varie verifiche empiriche del concetto teorico di efficienza; questi test sono invariabilmente delle verifiche di due ipotesi congiunte 2 (joint hypotesis problem), l'efficienza informativa e il modello dei prezzi d'equilibrio (asset pricing model) sottostante.
Perciò un'eventuale anomalia riscontrata può essere il risultato di inefficienza come di inadeguatezza esplicativa del modello.
Questo non implica di per sè che non si possa condurre una ricerca approfondita sull'efficienza; implica piuttosto che, nel valutare le conclusioni di ogni singolo contributo alla ricerca, è essenziale analizzare quanto tali conclusioni siano influenzate dal nostro modo imperfetto di intendere il comportamento dei prezzi corretti.
Anche Fama 3 concorda sull'utilità della precedente ricerca empirica, nonostante il problema dell'ipotesi congiunta; conclude però che una precisa misura del grado di efficienza del mercato rimarrà probabilmente impossibile 4.

     Per concludere questa indispensabile premessa alle verifiche empiriche, va ricordato anche un principio che sta alla base della verifica statistica delle ipotesi; l'eventuale incapacità di una verifica empirica di rifiutare un'ipotesi (in questi casi l'ipotesi di efficienza) non equivale alla sua accettazione; alcuni test possono falsificare una teoria negando una delle sue implicazioni, ma il verificarsi di una delle previsioni non può costituire il presupposto per accettare totalmente quella teoria.

Verifiche empiriche dell'ipotesi di efficienza debole

     Inizialmente ci si limita a verificare l'ipotesi di random walk con l'analisi dell'autocorrelazione e l'analisi spettrale 5 e si cerca di approfondire lo studio della forma delle distribuzioni.

     In particolare un certo numero di studi 6 diversi hanno analizzato le autocorrelazioni dei prezzi azionari per periodi di tempo varianti da 1 a 16 giorni, e hanno fornito risultati simili.
Le autocorrelazioni trovate erano generalmente non significative, con valori compresi tra +0,10 e -0,10, e quindi le variazioni dei prezzi erano considerate serialmente indipendenti.
Questi risultati mettevano in forte discussione le strategie di compravendita basate sull'osservazione dei grafici dei prezzi azionari, non ravvisando nessun tipo di dipendenza lineare tra le variazioni di prezzo successive.
In realtà studi successivi 7 hanno dimostrato come la presenza di basse autocorrelazioni non sia sufficiente per accettare l'ipotesi del random walk; con un appropriato test statistico è stata dimostrata per alcuni mercati l'ipotesi alternativa, coerente con l'approccio dell'analisi tecnica, del movimento in tendenza dei prezzi.

     In realtà dire che i prezzi seguono un random walk (le variazioni dei prezzi sono indipendenti) è, come si è visto in precedenza, un'affermazione più forte rispetto a quella di efficienza debole; l'ipotesi di efficienza debole dice che non si possono conseguire tassi di rendimento superiori al normale, utilizzando strategie d'investimento basate solo sui prezzi storici.
Per testare l'ipotesi di efficienza in forma debole sono state esaminate quindi alcune strategie di trading dell'analisi tecnica.
Considerando che la terza parte di questo intero lavoro è dedicata completamente al confronto critico tra efficienza del mercato ed analisi tecnica, ci sembra più opportuno rimandare l'esame di queste verifiche empiriche a quella sede.

     Un altro aspetto interessante che riguarda direttamente la serie storica dei prezzi e quindi l'efficienza in forma debole del mercato, è il tipo di distribuzione statistica che caratterizza i rendimenti azionari.
Il problema è ampiamente dibattuto e si riferisce in particolare alle distribuzioni delle variazioni (logaritmiche) dei corsi, che risultano leptocurtiche, cioè con code nettamente più spesse rispetto a quelle caratteristiche della distribuzione gaussiana; le spiegazioni di questo fenomeno sono molteplici, ma la più interessante (che poi si è rivelata l'ipotesi vincente) è che ciò sia imputabile al sovrapporsi di più distribuzioni (approssimativamente normali), con diversa varianza 8.

     Empiricamente risulta infatti che la varianza dei corsi è legata positivamente al numero di transazioni e/o al numero di titoli scambiati; dividendo le variazioni dei corsi per la radice quadrata del numero di titoli scambiati, la leptocurtosi si riduce drasticamente 9.
Questa particolarità nella distribuzione statistica delle variazioni dei corsi lascia trasparire un certo ruolo nella determinazione dei prezzi da parte del volume delle transazioni 10; il fatto che il volume, tra l'altro, costituisca uno dei supporti decisionali di cui si avvale tradizionalmente l'analista tecnico conferisce maggiore dignità scientifica all'approccio chartistico.

     Vista la modifica della tripartizione dell'insieme informativo proposta nell'ultimo lavoro di Fama (1991), che ha tra l'altro cambiato la denominazione test della forma debole in test della prevedibilità dei rendimenti, è opportuno menzionare brevemente in questa sede, per maggiore rigore logico, tutte quelle verifiche effettuate attraverso questa metodologia, che solitamente andavano ricomprese nell'ambito dei test dell'efficienza semiforte.

     I più famosi studi a questo proposito hanno determinato una tendenza dei rendimenti ad essere più elevati nel mese di gennaio di ogni anno 11 (January effect); ad essere al contrario generalmente negativi il lunedì e maggiormente positivi il mercoledì ed il venerdì 12 (day-of-the-week effect).

     È stato scoperto 13 inoltre che la dimensione delle imprese ha presentato un'alta correlazione con il rendimento dei titoli; in generale i risultati indicano che minore è la capitalizzazione di borsa della società, più alto è il tasso di rendimento delle sue azioni ordinarie (small firm effect).
Le differenze di rendimento tra portafogli dei titoli minori e portafogli composti dai titoli di maggiore dimensione, arrivano quasi al 20% su base annua.

     Poiché questi portafogli sono stati costruiti in modo che avessero lo stesso grado di rischio sistematico (b), questi risultati potrebbero essere interpretati come un caso di estrema inefficienza del mercato; considerando però il notevole differenziale di rendimento tra imprese piccole e grandi e il suo persistere per così tanto tempo, sembra improbabile che gli investitori non avrebbero cominciato ad eliminare, attraverso la concorrenza reciproca, i profitti anormali.

     È forse più plausibile giudicare questa anomalia alla luce della cosiddetta joint hypotesys: il modello di determinazione dei rendimenti risulterebbe perciò inadeguato o comunque mal specificato.

     Infatti proprio questa è stata la strada percorsa dalla ricerca empirica successiva 14; essa ha innanzitutto dimostrato che la trattazione infrequente dei titoli minori si riflette in un maggior rischio, che veniva sistematicamente sottostimato nella determinazione dei beta delle piccole imprese.
In secondo luogo è stato dimostrato 15 come il metodo di formazione dei portafogli di titoli di società minori generasse una sovrastima dei rendimenti.
Una misurazione corretta del rischio e del rendimento dei titoli delle piccole imprese sembrerebbe eliminare almeno il 50% dello small firm effect.

Verifiche empiriche dell'ipotesi di efficienza semiforte

     Rammentiamo innanzitutto che l'ipotesi di efficienza del mercato in forma semiforte sostiene che tutte le informazioni pubbliche sono completamente riflesse nei prezzi azionari; gli investitori non dovrebbero essere in grado di guadagnare tassi di rendimento anormali utilizzando strategie di compravendita basate sulle informazioni disponibili al pubblico.

     Uno dei primi studi ad aver esaminato tale forma di efficienza è stato condotto nel 1969 16, ed ha analizzato l'effetto dei frazionamenti di azioni sui prezzi delle azioni.
L'importanza di questo studio risiede tra l'altro nell'aver utilizzato una metodologia di ricerca che è stata poi ampiamente sfruttata da altri ricercatori 17.
Dopo aver stimato un rendimento normale attraverso una regressione tra il rendimento del titolo e i rendimenti di un indice di mercato, è stato determinato il rendimento anormale per ogni periodo di tempo, togliendo dal rendimento effettivo riscontrato il rendimento normale stimato.

     Questo metodo di stima dei rendimenti anormali viene comunemente chiamato analisi dei residui, poiché l'equazione di regressione rappresenta un rendimento normale, mentre i residui o errori dell'equazione rappresentano i rendimenti anormali.

     L'innovazione metodologica per la verifica dell'ipotesi di efficienza semiforte è stata la misurazione dei rendimenti anormali medi cumulati, ottenuti sommando progressivamente i rendimenti medi anormali per ogni periodo di tempo t, dove i periodi di tempo sono centrati sulla data dell'evento o di annuncio dei dati.
Solitamente vengono cumulati i rendimenti anormali medi da un determinato numero di mesi precedenti quello dell'evento, ad un certo numero di mesi successivi.

     In generale, se i mercati sono efficienti, la sommatoria dovrebbe approssimarsi a zero; si potrà verificare uno dei due seguenti scenari:

  1. se la nuova informazione non è stata anticipata dagli investitori, il titolo dovrebbe generare rendimenti normali prima dell'annuncio dell'informazione, reagire immediatamente all'annuncio con una variazione del prezzo, dando così origine ad un unico rendimento anormale, e quindi generare rendimenti normali successivamente;
  2. se l'informazione divulgata dall'annuncio è stata gradualmente anticipata dagli investitori, il prezzo del titolo dovrebbe muoversi lentamente prima dell'annuncio, man mano che un numero sempre maggiore di investitori anticipano le migliori prospettive della società, mostrare una lieve reazione all'annuncio, o non reagire affatto, e generare rendimenti normali dalla data dell'annuncio in poi.
     Ma veniamo ai risultati di questo primo event study.
Sono stati esaminati 940 frazionamenti delle azioni del NYSE, avvenuti nel periodo 1927-1959; l'andamento del prezzo è stato analizzato su un periodo che andava da 29 mesi prima della data del frazionamento a 29 mesi dopo.
I risultati ottenuti si sono dimostrati coerenti con l'ipotesi di efficienza semiforte, in quanto i residui medi cumulati sono stati essenzialmente piatti dalla data di frazionamento in avanti.

     Nell'interpretare l'evidenza suggerita da questo lavoro è doveroso però essere consapevoli di alcune imprecise metodologie utilizzate: i periodi di tempo sono stati centrati rispetto alla data di effettivo frazionamento, non alla data di annuncio che in genere la precede di un mese o più; in secondo luogo sono stati utilizzati prezzi di chiusura mensile piuttosto che i prezzi giornalieri.
Questo potrebbe alterare anche dal punto di vista qualitativo i risultati ottenuti.

     In un articolo di rassegna della letteratura del 1978 18 sono stati poi esaminati i risultati di più di venti lavori effettuati precedentemente sulla reazione dei prezzi azionari agli annunci degli utili; l'evidenza dimostra che esistono degli extrarendimenti rettificati per il rischio sistematicamente superiori a zero nel periodo di tempo che segue l'annuncio.

     In realtà lo stesso autore imputa queste anomalie all'errata specificazione del modello di equilibrio utilizzato (la maggior parte degli studi passati in rassegna hanno utilizzato degli asset pricing model a due parametri) per l'aggiustamento al rischio e non all'inefficienza del mercato azionario; per questo motivo indica possibili correttivi metodologici per ridurre gli errori di stima indotti dall'inadeguatezza del modello a due parametri.

     Uno studio successivo 19 (1982) ha esaminato la risposta del mercato agli annunci degli utili trimestrali; lo scopo era di determinare come il mercato reagiva di fronte a differenze tra utili attesi ed utili effettivi.
L'evidenza empirica ha dimostrato come i titoli caratterizzati da un effetto sorpresa positivo tendevano a muoversi verso l'alto nei giorni seguenti all'annuncio, così come i titoli caratterizzati da differenze negative volgevano verso il basso.
Vi era in effetti anche un aggiustamento prima dell'annuncio, ma allo stesso modo una sorta di adeguamento sistematico nei giorni successivi.
Questi risultati non consentono di stabilire comunque, come già in precedenza specificato, se queste anomalie siano dovute ad inefficienza del mercato o piuttosto all'inadeguatezza dell'asset pricing model utilizzato.

     Altri studiosi 20 hanno cercato di migliorare i possibili risultati emergenti dalle loro ricerche utilizzando differenti asset pricing model e ponendo maggiore attenzione ai dati selezionati per i loro studi.
Con questi presupposti è stato dimostrato come l'acquisto di titoli azionari caratterizzati da bassi rapporti Price/Earnings garantisse sistematicamente degli extraprofitti.
Tale impostazione è stata peraltro criticata, seppure i rendimenti fossero adeguati al rischio e fossero utilizzati modelli di equilibrio diversi, a causa della natura del rapporto Prezzo/Utile; infatti alcuni 21 studiosi hanno ravvisato potenziali influenze sui risultati derivanti dal fatto che innanzitutto i titoli a basso P/E sono generalmente titoli di piccole società, soggette quindi a small firm effect; poi sono caratterizzati da scarsa liquidità 22, che può costituire un rischio aggiuntivo di cui la misura tradizionale ß non tiene conto; in terzo luogo gli extrarendimenti possono essere influenzati da un potenziale effetto settoriale, 23 che deriva dalla tendenza dei titoli a basso P/E a situarsi in particolari raggruppamenti industriali quale può essere il campo alimentare.

     Queste critiche hanno indotto uno studio successivo 24 sui rendimenti dei portafogli a basso rapporto P/E a selezionare opportunamente i dati; in primo luogo sono stati scelti titoli azionari con un valore di mercato minimo di cento milioni di dollari per evitare l'effetto collegato alla piccola dimensione d'impresa; in secondo luogo azioni caratterizzate da un volume di scambio medio soddisfacente, per non influenzare il campione a causa della bassa liquidità; infine ogni potenziale influsso settoriale è stato eliminato classificando i diversi titoli azionari nel rispettivo ambito competitivo, in modo che fosse possibile un confronto omogeneo tra i rendimenti offerti, rispetto ai diversi rapporti P/E.

     I risultati ottenuti sono decisamente a favore dei titoli azionari caratterizzati da un basso rapporto Price/Earnings, che hanno ottenuto rendimenti adeguati al rischio decisamente superiori rispetto ai titoli con alti valori di P/E e migliori performance rispetto alla media di settore.

     Una peculiare sorta di informazione pubblica è stata utilizzata in due diversi studi 25 per verificare l'ipotesi di efficienza semiforte: da un lato i rankings dei titoli azionari pubblicati periodicamente da Value-Line, la più famosa società americana di consulenza finanziaria; d'altro lato i criteri di selezione di Benjamin Graham, dedotti periodicamente da ogni nuova edizione del suo libro "The Intelligent Investor".
I risultati ottenuti da queste due particolari ricerche hanno evidenziato ancora una volta potenziali extraprofitti adeguati al rischio, al netto di tasse e costi di selezione e transazione, ottenibili utilizzando informazione pubblica a basso costo.

     Questi due diversi studi rivestono una particolare importanza anche per via del loro diverso approccio rispetto ad altre verifiche; infatti essi utilizzano delle regole di selezione formulate prima del periodo in cui sono state valutate e disponibili quindi per le decisioni dell'investitore nel periodo di tempo ricompreso dall'analisi.
Al contrario altre ricerche utilizzano dei criteri di verifica ex-post, cioè implicano delle strategie proposte o sviluppate successivamente al periodo utilizzato per testare il metodo di selezione.
La forte evidenza contro l'ipotesi di efficienza semiforte del mercato azionario è confermata in questo caso; infatti una possibile inadeguatezza dell'asset pricing model utilizzato è stata in parte neutralizzata, isolando l'effetto small firm 26 attraverso la selezione di titoli azionari scelti tra il primo quartile dimensionale del settore di appartenenza.

Verifiche empiriche dell'ipotesi di efficienza forte

     Come è stato notato in precedenza, l'ipotesi di efficienza in forma forte sostiene che tutte le informazioni siano riflesse nei prezzi dei titoli, il che rappresenta un'ipotesi estrema che molti operatori non condividono.
Inoltre, se esiste qualche tipo di verifica empirica che tenta di sostenere che l'ipotesi di efficienza semiforte non è completamente valida, a maggior ragione si può sospettare che ci saranno ancora più prove contro la validità dell'ipotesi di efficienza in forma forte.

     I soggetti che potrebbero avere informazioni riservate sono certamente da individuare nel top management delle imprese, che ha accesso alle informazioni riguardanti le strategie aziendali, le alternative di finanziamento, le opportunità di investimento e molte altre informazioni che non vengono rivelate al pubblico; altri soggetti ad avere informazioni monopolistiche sono gli intermediari abilitati ad operare in titoli quotati nelle borse, poiché sono a conoscenza dei prezzi e delle quantità di ordini con limite di prezzo; anche i money manager professionisti sono stati considerati detentori di informazione privilegiata, quando sviluppano particolari stime degli utili futuri ed altri elementi che sono importanti nella valutazione di un titolo.
In realtà si deve riconoscere che quest'ultima categoria è decisamente differente dalle due precedenti, in quanto le stime degli analisti si basano su di un esame molto attento delle informazioni pubbliche, mentre gli insider aziendali e gli intermediari di borsa hanno accesso ad informazioni veramente riservate.

     Uno studio del 1974 27 ha esaminato la possibilità che gli insider riescano ad ottenere extraprofitti sfruttando le proprie informazioni monopolistiche.
Il test fu condotto utilizzando le informazioni contenute nel Official Summary of Securities Transactions and Holdings, un registro che riporta le operazioni riguardanti i titoli della società per cui gli insider sono tenuti a dare informazione alla Security Exchange Commission entro 10 giorni successivi al mese in cui l'operazione è avvenuta.
La strategia operativa consisteva quindi nell'individuare, attraverso quel particolare registro, i titoli sui quali c'era stata una netta maggioranza di insider in acquisto o in vendita.
Come ci si poteva attendere gli insider hanno conseguito profitti anormali positivi; ma è ancora più interessante notare che anche i non insider avrebbero potuto guadagnare extrarendimenti (anche se naturalmente meno ampi) utilizzando le stesse informazioni dell'Official Summary nel momento in cui divenivano pubblicamente disponibili.

     I risultati di Jaffe sono stati però criticati 28, non tanto per i profitti degli insider che vengono confermati, bensì per gli extraprofitti degli outsider, basati su informazione pubblica.
Come è spesso avvenuto nelle critiche alle anomalie riscontrate precedentemente, anche in questo caso la soluzione è una mal specificazione del modello di determinazione dei rendimenti; si è notato come gli acquisti suggeriti dall'Official Summary fossero rivolti maggiormente alle small firms, mentre le vendite in larga parte dirette alle grandi imprese.
Ricordando le critiche a proposito dello small size effect, anche in questo caso è probabile che il rischio sistematico sia stato sottostimato.

     Diversi studi hanno poi indagato se gli intermediari di borsa (specialist del NYSE) riescano a guadagnare profitti anormali.
Uno studio 29 della Security Exchange Commission ha scoperto che questi intermediari operano per proprio conto in modo profittevole nell'80% dei casi; studi analoghi 30 hanno confermato queste conclusioni, individuando extraprofitti guadagnati dagli specialist.

     Per quanto riguarda le informazioni pubbliche che diventano in un certo qual modo privilegiate attraverso le analisi dei money managers, è possibile verificare l'ipotesi di efficienza solo in via indiretta; la procedura più utilizzata è l'esame nel tempo della performance dei gestori di patrimoni, dal momento che essi basano almeno parte della loro attività di trading sulle informazioni riservate generate internamente.

     Diversi studi 31 hanno analizzato la performance dei fondi comuni d'investimento, finendo con il concludere che i gestori di fondi comuni non hanno conseguito rendimenti anormali e che l'ipotesi di efficienza in forma forte era valida 32.
Tuttavia alla misurazione della performance dei money manager sono associati diversi problemi che possono inficiare i risultati di questi studi sui fondi comuni.
Innanzitutto, come è stato frequentemente ricordato in precedenza, è necessaria la specificazione di un modello corretto per la determinazione dei rendimenti normali.
Può darsi che i rendimenti normali debbano essere funzione sia del rischio sistematico che del rischio di liquidità, o dimensione della società emittente, o altri fattori.
Un secondo problema riguarda l'ecessiva variabilità dei dati sui rendimenti; un fondo comune potrebbe produrre risultati superioori nel lungo periodo, ma su periodi più brevi le sue performance saranno quasi certamente oscillanti.
Questa variabilità rende difficile dal punto di vista statistico, l'individuazione di performance significativamente differenti dalla media 33.


1 Ball R., Anomalies in Relationship within Securities Yields and Yield Surrogates, Journal of Financial Economics (1978).
2 Il fatto che il lavoro empirico si configuri come un test congiunto di due ipotesi non è del tutto corretto a rigor di logica.    Infatti i modelli di fissazione dei prezzi delle attività presuppongono mercati perfetti, i quali a loro volta implicano l'efficienza; perciò il lavoro empirico comporta la valutazione dell'efficienza in quanto modellata da una visione particolare della determinazione del prezzo delle attività.    Esso, quindi, non è un test congiunto di due ipotesi, bensì un test di un modello di un'ipotesi. (da R. Ball 1988).
3 Fama E., Efficient Capital Markets: a Review of Theory and Empirical Work II Journal of Finance (1991).
4 Questa sua conclusione è stata criticata dal punto di vista metodologico da Saunders E.M.Jr., Testing The Efficient Market Hypothesis without assumptions, The Journal of Portfolio Management (1994).
5 Granger C.W. Morgenstern O., Spectral Analysis of New York Stock Market Prices (1963) ristampato in Cootner (1964).
6 Alexander S.S., Price Movements in Speculative Markets: Trends or Random Walks Industrial Management Review (1961);
Fama E., The Behaviour of Stock Market Prices, Journal of Business (1965);
Kendall MG, The Analysis of Economic Time-Series, Journal of the Royal Statistical Society (1953).
7 Taylor S.J. Tests of the Random Walk Hypothesis Against a Price-Trend Hyphothesis, Journal of Financial and Quantitative Analysis (1982).
8 Clark P.K. A Subordinate Stochastic Process Model with Finite Variance for Speculative Prices, Econometrica (1973);
Blattberg C. Gonedes N. A Comparison of the Stable and Student Distribution as Statistical Models for Stock Prices, Journal of Business (1974);
più recentemente si veda Hall et al (1989) e Hsieh D.A., Chaos and Nonlinear Dynamics; Application to Financial Markets, Journal of Finance (1991).
9 Osborne M.F.M. Periodic Structure in the Brownian Motion of Stock Prices, (1962) ristampato in Cootner 1964;
Granger C.W. Morgenstern O. Predictability of Stock Market Prices, Heath Lexington Books (1970).
10 Per approfondimenti si veda, tra gli altri, Epps T.W. Security Price Changes and Transaction Volumes: Theory and Evidence, American Economic Review (1975).
11 Rozeff M.S. Kinney WR, The January effect, Journal of Financial Economics (1976).
12 Gibbons M.R. Hess P. Day of the Week Effect and Asset Returns, Journal of Business (1981);
per l'analogo weekend effect si veda French K.R., Stock returns and the Week-end Effect, Journal of Financial Economics (1980).
13 Banz R.W. The Relationship within Return and Market Value of Common Stocks Journal of Financial Economics (1981);
Reingaum M.R. Misspecification of Capital Asset Pricing: Empirical Anomalies Based on Earning Yields and Market Values, Journal of Financial Economics (1981);
Reingaum M.R. Abnormal Returns in Small Firms Portfolios, Financial Analysts Journal (1981).
14 Roll R., Vas ist Das? The Turn of the Year Effect and the Return Premia of Small Firms, Journal of Portfolio Management (1983).
15 Blume M.E. Stambaugh R.F., Biases in Computed Returns: an Application to the Size Effect, Journal of Financial Economics (1983).
16 Fama E. Fisher L. Jensen M. Roll R., The adjustment of stock prices to new information, International Economic Review (1969).
17 Per alcuni perfezionamenti della metodologia di Fama Fisher Jensen Roll, si vedano tra gli altri Charest G, Split Information Stock Returns and Market efficiency, Journal of Financial Economics (1978);
Larcher Gordon Pinches, Testing for Market Efficiency: A Comparison of the Cumulative Average Residual Methodology, Journal of Financial and Quantitative Analysis (1980);
Browne SJ Warner JB, Measuring Security Price Performance, Journal of Financial Economics (1980).
18 Ball R. Anomalies in Relationship within Securities Yields and Yield Surrogates Journal of Financial Economics (1978).
19 Rendleman R.S., Jones C.P., Latané H.A., Earnings Announcement :Pre- and Post Responses, Journal of Portfolio Management (1985);
Uno studio analogo era già stato pubblicato cinque anni prima da Joy O. M., Litzenberger R.H., McEnally R.W., The Adjustment of Stock Prices to Announcements of Unanticipated Changes in Quarterly Earnings, Journal of Accounting Research (1977).
20 Basu S. Investment Performance of Common Stocks in Relation to their P/E ratios: A Test of the Efficient Market Hypothesis, Journal of Finance (1977).
21 Banz R.W. The Relationship within Return and Market Value of Common Stocks Journal of Financial Economics (1981);
Reingaum M.R., Abnormal Returns in Small Firms Portfolios, Financial Analysts Journal (1981).
22 Dimson E. Risk Measurement When Shares Are Subject to Infrequent Trading, Journal of Financial Economics (1979).
23 Breen W. Low P/E Ratios and Industry Relatives, Financial Analysts Journal (1968).
24 Peavy W.J. Goodman D.A. The Significance of P/Es for Portfolio Returns, The Journal of Portfolio Management (1983).
25 Black F. Yes Virginia, There is Hope: Test of the Value Line Ranking System, Financial Analysts Journal (1973);
Oppenheimer H.R. Schlarbaum G.G. Investing with Ben Graham: An Ex Ante Test of The Efficient Markets Hypothesis, Journal of Financial and Quantitative Analysis (1981).
Per un aggiornamento dello studio di Black si veda Copeland T. Mayers T. (1982).
26 L'effetto small firm deriva, secondo alcuni autori, non da inefficienza del mercato, bensì dall'inadeguatezza del modello di equilibrio utilizzato, che mantiene erroneamente il parametro costante.
27 Jaffe J.F. Special Information and Insider Trading, Journal of Business (1974);
Uno studio analogo è presente in Lorie J.H. Niederhoffer V., Predictive and Statistical Properties of Insider Trading, in Journal of Law and Economics (1968).
28 Seyhun H N, Insiders' profits, cost of trading and market efficiency, Journal of Financial Economics (1986).
29 Report of the Special Study of the Securities Markets, Security and Exchange Commissions, Washington (1963).
30 Niederhoffer V. Osborne MF, Market making and reversal on the Stock exchange, Journal of the American Statistical Association (1966).
31 W.F. Sharpe, Mutual fund performance, Journal of Business (1966);
Jensen M.C., Risk the prices of capital assets and the evaluation of investment portfolios, Journal of Business (1969).
32 I test sulla performance dei fondi comuni non sono dei veri e propri test di efficienza del mercato in forma forte, per via della natura delle informazioni di cui dispongono; alcuni autori hanno coniato addirittura una quarta categoria di efficienza per questo particolare tipo d'informazione, l'efficienza quasi-forte.
33 A questo proposito ci si può riferire ad uno studio di Murphy J.M. Efficient Markets, Index Funds, Illusion and Reality, Journal of Portfolio Management (1977).