I produttori di Petrolio Usa risorgono dalle ceneri dei prezzi

25/05/2015 14:56

I produttori di Petrolio Usa risorgono dalle ceneri dei prezzi

Le ultime dal fronte dell’oro nero parlano di una situazione sempre più complicata. Prima di tutto per quello che è il punto centrale della situazione e cioè la lotta tra petrolio e shail oil, lotta che coinvolge, come noi tutti ben sappiamo, gli Usa e l’Arabia Saudita. I primi, invece che arretrare, come inizialmente si poteva credere, stanno invece puntando a un cambio di strategia.

Anche Darwin, se serve, per il petrolio...

In realtà si tratterebbe di un’evoluzione anche logica. Il primo obiettivo che si erano dati gli arabi, infatti, era quello di contrastare l’avanzata sleale del competitor, erodendo il suo margine di guadagno, facendo crollare il prezzo, convinti che loro avrebbero potuto tranquillamente reggere, forti non solo delle loro scorte, ma anche del basso costo di produzione.

Muoia Sansone...

Ma il potente ministro del petrolio saudita, ovvero colui che a suo tempo, si parla di novembre scorso, decise la contestata strategia del “muoia Sansone con tutti i Filistei” ovvero di non tagliare la produzione facendo crollare le quotazioni dell’oro nero e con esso anche il futuro di moltissime economie nazionali, prima fra tutte quella del Venezuela (guarda caso nemico degli Usa), non aveva fatto i conti con l’evoluzione tecnologica, la stessa che invece ha permesso agli Usa di riuscire a reggere il colpo.

Gli Usa non mollano

Non senza qualche vittima, riconducibile però a una sorta di selezione naturale: dal picco dell’ottobre 2014 con circa 1.600 pezzi, la presenza di trivellatrici ha toccato a maggio quota 668, praticamente un terzo. Cosa significa questo? Che la diminuzione auspicata c’è stata, ma non sul lungo periodo come invece si prospettava.
Infatti il livello di breakeven per i produttori rimasti, nel frattempo, è sceso a circa 60 dollari, grazie all’ottimizzazione della resa e soprattutto al taglio oculato dei costi, con prospettive che, per Goldman Sachs, parlano di un ulteriore calo per i prossimi 5 anni, calo che porterà il livello di equilibrio tra costi e ricavi a 40 dollari per barile.

Proprio nel momento in cui, intanto, Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi hanno portato le rispettive produzioni agli estremi inondando ulteriormente il mercato.

Il vero ago della bilancia... per ora...

Ma allora come spiegarsi in tutto questo, il rialzo, seppur lieve ma a quanto pare continuato, dei prezzi del greggio? la variabile più sensibile a livello dei mercati, tra le tante che caratterizzano ormai questa telenovela, sembra essere quella geopolitica, con la guerra tra Yemen e Arabia Saudita e le infiltrazioni terroristiche che accerchiano Ryad ovunque mentre l’Iran torna sulla scena internazionale, ma questa volta, per assurdo che sia, da interlocutore degli Usa e, apparentemente, pronto a collaborare per trovare un accordo sul nucleare.

Stabilità è certezza

Tornando però alla guerra dei prezzi, ormai si delinea quella che potrebbe essere l’unica, vaga certezza e cioè che il prezzo del petrolio, bene o male, potrebbe stabilizzarsi in area 65 dollari, visto e considerato che la stessa Arabia ha confermato come i 100 e oltre dollari al barile erano un livello troppo alto e mai più raggiungibile anche e soprattutto alla luce delle recenti scoperte su nuovi giacimenti sia in Artico che nel Mediterraneo, proprio mentre avanzano le energie alternative.

Per quanto strano possa essere, inoltre, la nuova frontiera delle rinnovabili, stando ad indiscrezioni di stampa, sarebbe proprio l’Arabia Saudita, convinta di poter eliminare lo sfruttamento dei combustibili fossili già dal 2050, preferendo sfruttare l’energia solare, anche quella estremamente abbondante dato il clima della zona.

Per quanto riguarda intanto la stabilizzazione del petrolio, anche da un punto di vista geopolitico potrebbe essere una carta in più da giocare: la Russia potrebbe evitare un livore eccessivo nei confronti dell’Occidente e le tensioni sociali presenti nei paesi latinoamericani verrebbero calmierate.

Senza dimenticare un fattore di primaria importanza: le oscillazioni del prezzo del petrolio vengono (soprattutto in passato) sfruttate come arma: un prezzo stabile permetterebbe una migliore attuazione di riforme e di colloqui tra le varie potenze.

Fonte: News Trend Online

© TraderLink News - Direttore Responsabile Marco Valeriani - Riproduzione vietata

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