Usa-Cina. Aumenta l’attenzione per le valute asiatiche

Rossana Prezioso Rossana Prezioso - 15/02/2019 11:04

Si diradano le nubi sul fronte asiatico. Dopo le ultime dichiarazioni di un Donald Trump possibilista come raramente si è visto, le probabilità di una svolta positiva nella guerra dei dazi sembrano aumentare. Sebbene, dati i precedenti e visti gli attori in scena, il lieto fine non è affatto scontato.


La potenza cinese

Ad ogni modo l’intenzione da parte dell’inquilino della Casa Bianca di allungare di 60 giorni i termini per l’aumento dei dazi su circa 200 miliardi di merci cinesi è già di per sé un elemento positivo. Tanto da spingere JP Morgan a confermare un aumento dell’ottimismo sulle azioni asiatiche, viste in rialzo nella prima parte dell’anno, in parallelo ad un calo dei rischi. Da parte sua la Cina ha già messo in campo poderose misure di sostegno all’economia, al credito e ai consumi. Una sorta di sinergia che, unita  a eventuali buone notizie in arrivo dal tavolo dei colloqui con Washington, darebbe il via al rally.


Attenzione puntata sulle divise asiatiche

Un rally che, secondo quanto riportato da JP Morgan, potrebbe coinvolgere anche i mercati di Singapore e delle Filippine. In aumento, dunque, le posizioni lunghe su yuan ma anche sul dollaro di Singapore, sulla rupia indonesiana e sul baht thailandese. Intanto, nel complesso scacchiere mondiale, l’allentamento delle tensioni tra Usa e Cina ha portato ad una maggiore attenzione non solo per le valute della zona sud-est asiatico ma anche per quelle del sud-pacifico, primo fra tutti il dollaro australiano. Spesso visto come indicatore dei mercati perché esposto alle materie prime, la divisa nazionale è anche l’espressione di un’economia, quella australiana, legata a filo doppio con la cinese. Il motivo? Uno dei principali clienti di Sidney è proprio Pechino. 


La view di Morgan Stanley

Ma c’è anche un altro elemento da considerare. Con il restringimento del gap dato dal surplus commerciale, l’economia cinese, in fase di declino a lungo termine, dovrà dipendere sempre di più da capitali stranieri. Come sottolineano da Morgan Stanley, le proiezioni parlano di un deficit 2019 allo 0,3% del PIL. Numeri alla mano, il surplus delle partite correnti della Cina è passato dall’1,3% del terzo trimestre 2017 allo 0,4% del terzo trimestre 2018. Nel 2008 arrivava al 9,3% e nel 2007 era del 9,9% del Pil. In parallelo si deve registrare un Pil che è arrivato, per il 2018 al 6,6%, il livello più basso dal 1990.


Articolo a cura di Rossana Prezioso
 


 

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