Pensare che il referendum costituzionale rappresenti un elemento di incertezza solo per il mercato azionario italiano è difficile. Infatti, il risultato del referendum potrebbe condizionare l’esito delle ricapitalizzazioni bancarie previste a ridosso dell’evento. Il focus è prevalentemente concentrato sull’aumento di capitale del Monte dei Paschi, che dovrebbe avvenire esattamente a cavallo del 4 dicembre. Infatti, con la situazione sostanzialmente congelata prima del voto sembra essere estremamente complicato trovare un investitore di rilievo che possa fare da cardine all’operazione e la conversione dei bond subordinati in azioni di nuova emissione diventa una scelta che poggia su uno scenario futuro estremamente confuso.
Analoga situazione, anche se con un diverso grado di complessità, potrebbe riguardare Unicredit alle prese con una ricapitalizzazione che sembra includere un aumento molto significativo della copertura delle sofferenze e degli incagli.
Se l’esito del referendum dovesse complicare più di quanto già siano difficili queste due operazioni, l’effetto contagio sugli istituti continentali (Deutsche Bank in primis ) potrebbe essere immediato. Nell’attuale contesto di generalizzato rialzo dei rendimenti dei titoli governativi, ulteriormente accelerato post-Trump, non è certo che l’argine della BCE possa reggere. Lo spread BTP-Bund potrebbe andare a peggiorare creando un ulteriore problema su un Paese dell’Unione non secondario. Alcuni commentatori autorevoli, quali Munchau dalle pagine del Financial Times, paventano il rischio che un voto NO al referendum possa rappresentare la condizione per una implosione dell’euro.
Per quanto non sottovalutiamo la gravità della cosa, ci sembra comunque una possibilità piuttosto remota dal momento che la situazione economica attuale del nostro Paese è molto diversa rispetto al 2012 quando in piena crisi greca il BTP decennale rendeva quasi il 7% rispetto al 2% attuale, aveva un disavanzo di bilancio del 5% del PIL rispetto al 2,4% attuale (ben sotto il livello di Francia e Spagna).
Cosa succede se vince il sì e cosa succede se vince il no sul mercato azionario: possibili evoluzioni
Se vince il NO
L’evidenza del Belgio prima e della Spagna poi che hanno vissuto lunghi periodi (addirittura per 530 giorni nel primo caso) senza avere un nuovo governo dopo crisi politiche ed elezioni con i vecchi esecutivi ad occuparsi della gestione corrente è che l’instabilità politica non rappresenta di per sé una condizione drammatica per i mercati azionari.
Se il governo in carica fosse sufficientemente solido per gestire anche pochi punti di governo, difficilmente il trend di base dei mercati verrà significativamente alterato. La presenza della BCE dovrebbe consentire allo spread BTP/Bund di non allargare più di tanto rispetto al massimo in area 210 punti basi toccati negli scorsi giorni. Nello specifico della situazione italiana, pesa decisamente di più l’evoluzione della ricapitalizzazione del sistema bancario a fronte delle richieste del regolatore europeo di una maggiore copertura di sofferenze ed incagli.
L’eventuale prevalere del no renderebbe ancora più complicata la già problematica ricapitalizzazione di MPS e di Unicredit con un effetto contagio anche sugli altri istituti di credito stante la debolezza strutturale sotto questo profilo del comparto bancario italiano salvo poche eccezioni. Molto dipende da come i mercati arriveranno all’evento considerando che, nel momento in cui pubblichiamo queste note sia l’indice generale che quello del settore bancario stanno segnando pesanti correzioni dall’inizio del mese di novembre (FTSE Mib – 5% e indice bancario italiano –4.5%).
Partendo dai livelli attuali è probabile che ad un’apertura in sensibile calo, probabilmente seguita da qualche altra giornata di debolezza durante la fase di costituzione del nuovo governo, dovrebbe porre le basi per un recupero altrettanto marcato in un arco temporale di qualche settimana. Qualunque sia l’esito è meglio dell’incertezza che vi grava sopra prima, specie se il mercato ha già assunto un posizionamento già orientato verso questo tipo di evoluzione. Inoltre se il livello dei tassi di interesse così come lo spread BTP/Bund dovesse assestarsi al livello attuale anche altri settori che hanno recentemente sofferto come quelli legati ai tassi potrebbero risollevarsi.
Se vince il SI
In caso di vittoria del SI l’attuale posizionamento del mercato molto sbilanciato sulla probabilità che si verifichi il caso opposto lascerebbe spazio per un rally al rialzo che vedrebbe favoriti i settori che hanno sofferto di più quali il bancario/finanziario (per la chiusura dello spread del nostro decennale verso quello tedesco) e per la probabilità decisamente più elevata, andando a ridursi il rischio paese sul mercato, di trovare investitori disposti a comperare quote significative delle banche in procinto di fare aumenti di capitale o assets messi in vendita dalle stesse.
La chiusura dello spread BTP/Bund aiuterebbe anche i cosiddetti “interest sensitive stocks”, anche se è difficile aspettarsi un ritorno allo scenario “tassi a zero per sempre” che dominava fino a qualche tempo fa. L’euro potrebbe rafforzarsi nell’immediato periodo post voto (prima cioè che la Fed vada con ogni probabilità ad alzare i tassi a metà dicembre) favorendo il recupero delle materie prime a discapito dei titoli che beneficiano della forza del dollaro.
Il settore bancario: evoluzioni recenti indipendenti dall’esito referendum
Abbiamo più volte sottolineato come l’esito del referendum possa impattare il settore bancario italiano facilitando o rendendo più problematica la ricapitalizzazione delle banche più a corto di capitale. Ma cosa si può dire riguardo al tema centrale per il settore, cioè riguardo all’evoluzione del tema delle copertura dei NPL (e degli incagli) e della necessità di ricapitalizzare molti istituti domestici? Il mercato recentemente ha adeguato le valutazioni al modello che potremmo definire 70%/40%. Il primo è il grado di copertura delle sofferenze mentre il secondo quello degli incagli, che sembra essere diventato il “new normal” del regolatore europeo. Per quanto sembri, secondo quanto riportato dalla stampa, che possa essere adottato anche da Unicredit, questo rimane un dato non ufficiale né (per ora…) formalmente richiesto dall’autorità di vigilanza.
Sotto questo profilo va detto che anche una eventuale vittoria del Sì faciliterebbe la ricerca di soluzioni al problema ma non lo eliminerebbe alla radice. Guardando per contro agli sviluppi favorevoli più vicini che potrebbero impattare il settore, indipendentemente dal tema referendario, sembrerebbe poi che sotto il profilo regolatorio le nuove norme che andranno a disciplinare il livello minimo di capitale richiesto alle banche (la cosiddetta Basel IV che andrà a sostituire l’attuale normativa Basel III) potrebbe essere meno restrittiva.
Infine, la volontà di Trump di allentare la regolamentazione del sistema finanziario americano, dopo il lungo periodo molto vincolante post Lehman potrebbe indurre, nel medio periodo, a qualche determinazione in tal senso anche in Europa assolutamente non nelle attese.
a cura di Massimo Saitta, Intermonte Advisory e Gestione
Fonte: www.finanzaoperativa.com
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