Dopo una riunione straordinaria di 6 ore durante la quale il primo ministro inglese Theresa May ha rischiato persino di essere sfiduciata, è arrivato il tanto sospirato sì del Cabinet (il consiglio dei ministri inglesi) alla bozza tecnica di accordo con l'Europa sulla Brexit. Ma se la May ha vinto questa battaglia di certo non ha ancora vinto la guerra.
L'incognita del Parlamento
Lunga e difficile è ancora la strada che la separa dalla soluzione definitiva del problema, un problema che è esploso all'indomani del 24 giugno del 2016 ovvero quando l'Inghilterra dopo il referendum che la divideva dal resto dell'Ue, si scopriva molto più lacerata di quanto nessuno immaginasse. Per il momento, però, la May assiste alla sua parziale vittoria mentre l'attesa è per i primi giorni di dicembre quando si avrà il voto dell'accordo Uk-Ue alla Camera dei Comuni: in questo caso il pericolo è ben più concreto dal momento che il primo ministro non ha i numeri in parlamento per vedersi approvato l'accordo. Ed è proprio a quella prova del fuoco che, secondo quanto atteso dagli euroscettici più irriducibili in seno al governo May, il primo ministro potrebbe cadere.
Tutti (o quasi) contro May
Ma per quale motivo Theresa May non è riuscita a mettere tutti d'accordo? Il punto dolente riguarda ancora una volta il confine tra le due Irlande, confine che nella storia è stato la causa della sanguinosa guerra tra cattolici e protestanti conclusasi con gli accordi (fragili ma duraturi) di oltre 20 anni fa. Il testo votato ieri, infatti, illustra la creazione di una Unione doganale per la Gran Bretagna la cosidetta "Wide Custom Union" che di fatto rende il Regno Unito ancora parte dell'Ue e, per giunta, pone delle clausole speciali per l'Irlanda del nord. Una misura che nel testo viene definita provvisoria, in attesa di accordi ad hoc per un confine da sempre molto difficile da gestire. Questo punto permetterebbe alla Gran Bretagna di rimanere nell'unione doganale fino a quando non sarà regolato il confine tra Belfast e la Repubblica irlandese a sud. Nel frattempo l'Irlanda del Nord rivestirebbe il ruolo di una sorta di enclave del mercato unico, il che lascerebbe intatto il principio della libera circolazione delle persone anche alla scadenza del periodo di transizione fissato a dicembre 2020.
Il periodo di transizione
Infatti ufficialmente la Gran Bretagna lascerà l'Ue il 29 marzo 2019, ma fino al 31 dicembre 2020 su questioni come l'unione doganale, il mercato unico e le politiche europee ci sarà una sorta di parentesi durante il quale le regole comunitarie continuerebbero ad essere applicate anche alla Gran Bretagna la quale, però, non avrebbe più diritto di partecipare alle decisioni comunitarie. Ma se entro questa data, cioè dicembre 2020, non si sarà trovata una soluzione definitiva? Allora, stando al testo, la situazione del confine tra le due nazioni e quindi anche tra Londra e il resto dell'Unione, continuerebbe a rimanere tale, lasciando tutto in un limbo di incertezza mal digerito da molti rappresentanti anche dello stesso governo May.
Nasce il Backstop
Ma se da un lato con la bozza di intesa di ieri si è creato un ponte (per quanto fragile e transitorio) tra le due realtà, dall'altro questa situazione ancora nebulosa potrebbe restare tale per un tempo potenzialmente indeterminato; si tratta del famoso Backstop ovvero il principio per preservare lo status quo tra le due Irlande a tempo indeterminato. Non solo, ma il problema potrebbe diventare ancora più complesso dal momento che il Dup, il partito unionista e quindi favorevole all'appartenenza dell'Irlanda del Nord al territorio inglese, non accetta i termini dell'accordo di ieri; una posizione che rappresenterebbe una potenziale spina nel fianco per la May visto che la decina di voti che può muovere in Parlamento il Dup potrebbero essere determinanti non solo per l'ok all'accordo ma anche per la permanenza in vita dello stesso governo May a cui fornisce appoggio esterno.
Londra nel futuro parlamento europeo
A prescindere dall'assegno di divorzio che, pare certo, Londra dovrà pagare per gli impegni già assunti in sede comunitaria e che potrebbe oscillare tra i 45 e i 55 miliardi, la Gran Bretagna in sede europea non avrà più un commissario e i 73 deputati che finora le spettavano e la cui quota verrà riassegnata tra gli altri membri dell'Unione. Ma questo significa anche che non parteciperà alle elezioni del parlamento europeo del maggio 2019 dal quale potrebbe nascere una maggioranza a lei avversa. Un grande lavoro attende i politici inglesi anche su un altro fronte: la legislazione finanziaria. Finora quella adottata era la stessa di Strasburgo ma presto il parlamento dovrà pensare anche ad una normativa nazionale. Il tutto escludendo le conseguenze economiche sulla nazione e sull'Ue.
Cosa succede se l'accordo viene respinto dal Parlamento inglese?
Difficile prevedere le conseguenze: la più probabile è quella, allo scadere del 29 marzo dell’anno prossimo, di un uscita senza accordo di Londra dall'Unione con tutte le conseguenze del caso sull'economia di entrambe le parti. Non si può escludere nemmeno una caduta del governo May e nuove elezioni con l'opzione, anch'essa aperta, di un nuovo referendum che annulli la Brexit.
Articolo a cura di R.P.
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