Flossbach von Storch: gli investitori possono già tirare un sospiro di sollievo?

28/03/2023 12:45

Flossbach von Storch: gli investitori possono già tirare un sospiro di sollievo?

Tobias Schafföner, gestore di portafoglio di Flossbach von Storch, e Thomas Lehr, responsabile della strategia per il mercato dei capitali di Flossbach von Storch, hanno così analizzato l'attuale scenario dei mercati affermando che la crisi attuale non è conclusa e ci vorrà ancora tempo prima di potercela lasciare alle spalle.
Ci sono però sviluppi positivi. Un commento sull'inflazione, sulle azioni e sul ritorno del tasso di interesse.

"Guerra, inflazione, energia e cambiamento climatico. L'elenco potrebbe continuare ancora. Questo intreccio di crisi rappresenta una sfida storica. Da oltre un anno è cambiato poco da questo punto di vista, ma nel complesso possiamo parlare di una cauta stabilizzazione.

Questo vale per i tassi d'inflazione, che quantomeno non crescono più, ma anche per i rendimenti e quindi le quotazioni delle obbligazioni a lungo termine. Dall'autunno anche i mercati azionari hanno messo a segno una ripresa.

A oggi si può dire che l'Europa ha superato bene l'inverno dal punto di vista economico.
Da una parte dobbiamo semplicemente ringraziare le condizioni climatiche: i prezzi del gas hanno registrato una flessione notevole negli ultimi sei mesi, da agosto sono scesi infatti di oltre l'80% in Europa. Oggi i prezzi sono persino più bassi di quelli precedenti all'invasione russa in Ucraina.

Uno sviluppo molto importante, che ha scongiurato scenari come il rischio di blackout o di interruzione della produzione. Anche se la guerra della Russia contro l'Ucraina prosegue e non si intravede la fine.

Quando parliamo dei miglioramenti rispetto all'autunno scorso, dobbiamo parlare anche della Cina.
Xi Jinping è passato da una rigida politica di zero-covid a una totale apertura del Paese, anche se al Congresso del partito di novembre non si è affrontato questo argomento. Su questo aspetto, non abbiamo una valutazione fondamentalmente differente del cosiddetto "fattore Cina" e quindi dei possibili investimenti in Cina.

Il Paese è interessato da numerosi rischi politici, per investire è necessario tener conto di un certo premio al rischio.

Osserviamo un effetto favorevole sull'economia mondiale dall'allentamento delle tensioni nelle catene di fornitura, che sgonfia uno dei fattori che alimentano l'inflazione.
Ma per l'"inflazione globale" pesa molto più l'energia, vale a dire l'aumento dei prezzi di tutti i prodotti e servizi rilevanti per l'economia nazionale. Grazie al calo dei prezzi dell'energia a partire da marzo prevediamo un contributo all'inflazione significativamente negativo da parte di queste componenti dell'indice.

Esistono anche fattori strutturali che hanno un effetto più lento e duraturo rispetto al costo di petrolio, gas ed elettricità, come si evince non solo dal recente andamento dei salari ed è per questo che da tempo mettiamo in guardia dal nutrire aspettative esagerate che a breve si possano abbassare i tassi di interesse (di riferimento).
Se l'inflazione core rimane ostinatamente alta, non ci si può aspettare che i tassi di interesse tornino a scendere rapidamente. Si tratta certamente di un contesto di mercato che può offrire varie opportunità agli investitori.

Gli investitori attenti alla sicurezza si stanno già chiedendo: perché non investire tutto in titoli di Stato? A cosa servono oggi le azioni?

Queste domande sono giustificate, almeno a prima vista.

Oggi le obbligazioni sono relativamente più interessanti rispetto agli anni scorsi. A fronte di un'inflazione che si mantiene elevata, riteniamo però che difficilmente i titoli di Stato "privi di rischio" saranno sufficienti a compensare la perdita di potere d'acquisto. L'attrattiva di un rendimento del 3% all'anno in un contesto in cui i prezzi aumentano di (almeno) il 5% non è diversa da quella di una "commissione sui depositi" di -0,5% quando l'inflazione è all'1,5%.

In entrambi i casi si perde circa il 2% di potere d'acquisto.

Molti appassionati dei tassi d'interesse guardano quindi agli Stati Uniti, dove la Banca centrale è qualche passo avanti. I Treasury Usa a breve scadenza sono tornati a rendere il 5%. Se però si vogliono utilizzare i titoli di Stato americani come investimenti per ridurre il rischio in un portafoglio di investitori in euro, bisogna tenere presente il rischio di cambio.
E per coprirsi dalle fluttuazioni del mercato dei cambi oggi si paga circa il 2%. A fronte di un rendimento obbligazionario sicuro del 5%, quello che rimane alla fine è lo stesso 3% che si ottiene con obbligazioni comparabili in euro.

Le obbligazioni societarie offrono rendimenti più elevati ma, a seconda della qualità dell'emittente, il rischio si avvicina a quello delle azioni.

Guardando all'azionario, notiamo dall'ultima stagione delle trimestrali che sono arrivati dati positivi dalle imprese.

Il fatto di aver assistito l'anno scorso a un generalizzato calo dei prezzi, nonostante l'aumento degli utili societari, significa che le valutazioni erano estremamente tirate.
I rendimenti che un investitore può ottenere dalle obbligazioni non sono irrilevanti per l'attrattività relativa delle azioni. Anche noi nelle ultime settimane e negli ultimi mesi abbiamo incrementato gradualmente le posizioni obbligazionarie, riducendo invece un po' quelle azionarie.

Da ciò si capisce che non dobbiamo interpretare come un crescente scetticismo il fatto che gli indici azionari sono un po' calati.

Questo rende ancora più interessante guardare al futuro, ma non si può ancora parlare di scampato pericolo, anche se l'attenzione al rischio è cambiata.

Permane ancora un rischio molto rilevante per l'economia reale: l'evoluzione dei tassi di interesse. Il fatto è che la politica monetaria produce i suoi effetti con un ritardo di svariati mesi prima che i tassi di interesse facciano sentire il loro effetto frenante sull'economia.

Possiamo vederlo nei mercati immobiliari, dove l'aumento dei costi di finanziamento influisce prima sulla domanda e quindi, prima o poi, anche sui prezzi. Il compito delle banche centrali è quello di alzare i tassi d'interesse in misura sufficiente a rallentare l'economia, per ridurre l'inflazione, senza però provocare una profonda recessione.

Resta da chiedersi cosa possa significare questo per il mercato azionario. Continuiamo ad assistere a fluttuazioni delle quotazioni. Soprattutto dopo la pubblicazione di nuovi dati sull'inflazione, che influenzano le aspettative di politica monetaria degli operatori di mercato. Se supponiamo che la svolta sul fronte dei tassi di interesse non avverrà rapidamente come alcuni auspicano, certamente vi saranno delle conseguenze.
Il contesto di tassi d'interesse bassi a cui abbiamo assistito per molti anni, che ha favorito le quotazioni sul mercato azionario, è ormai un lontano ricordo.

E per scendere potrebbe servire più tempo di quanto gli investitori troppo ottimisti hanno previsto di recente. La gestione dei prezzi da parte delle banche centrali, durata molti anni, spiega solo in parte l'andamento dei prezzi.

Oggi l'attenzione si sta spostando nuovamente sui profitti. Abbiamo visto che le "nostre" imprese sono riuscite a incrementare i profitti anche in tempi di inflazione: questo è un criterio importante per la selezione dei titoli.

L'inflazione comporta sempre un'inflazione degli utili delle imprese, anche se purtroppo non possiamo fare previsioni a breve termine sulle quotazioni.
Ma nel lungo periodo i prezzi delle azioni seguono l'andamento degli utili. Per questo l'"inflazione degli utili delle imprese" è un fattore molto importante per le prospettive.

E per aggiungere ancora una nota positiva sul versante obbligazionario: sono tornati gli interessi! In Europa non bastano ancora per battere l'inflazione.

Ma sempre più spesso le obbligazioni rappresentano un'alternativa, quantomeno in termini di effetti di stabilizzazione e diversificazione del portafoglio".

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