Partiamo subito col dire che le norme per la gestione delle crisi bancarie europee sono già in atto, infatti la direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) detta le norme che regolano il settore in caso di una crisi di un istituto bancario ed è in vigore dal 1 gennaio del 2015.
Bail in: cosa c'era prima?
Quello che invece interessa i risparmiatori è il fatto che loro verranno chiamati direttamente dal 1 gennaio del 2016 ovvero dall’inizio del prossimo anno.
In Italia l’autorità di risoluzione, quindi chi dovrà gestire l’intero processo, è la Banca d’Italia. Una scelta, questa, nata per pianificare la gestione di un settore che per l’economia e lo sviluppo europeo è di primaria importanza, cioè quello bancario.
Da sottolineare, infatti, che il Vecchio Continente, per motivi storici, è fortemente legato allo snodo della banca che è il punto in cu si incontrano non solo i risparmi, la raccolta di capitale ma anche le consulenze, gli investimenti e la speculazione a differenza invece di quanto avviene negli Stati Uniti in cui il mercato e l’investimento sui mercati finanziari è più sviluppato e diffuso.
In altre parole fino a qualche tempo fa, estremizzando il concetto, per l’europeo la banca era il punto di riferimento per il risparmio gestito con investimenti che possono includere anche il mercato azionario e strumenti finanziari specifici, per uno statunitense, invece, sfruttare la strada dell’investimento in borsa era la prima delle opzioni.
Questa mentalità ha creato, in Europa un peso enorme sul settore bancario che si riflette anche nella composizione degli indici delle singole borse nazionali, come ad esempio quella italiana.
Bail in: perchè?
Ne consegue che storture e sofferenze sulle e dalle banche portano conseguenze negative su tutto il settore finanziario, economico e sociale.
I rischi di fallimenti delle banche, aumentati con la crisi del 2008 e la recessione che ne è derivata (recessione che per l’Italia è stata addirittura doppia) ha portato a una serie di preoccupazioni e di misure anche a livello europeo per riuscire ad arginare il pericolo di una vera e propria catastrofe non solo finanziaria ma anche monetaria.
Infatti “guarire” le banche significava e significa tutt’ora imporre regole dolorose per tutti ma ancora di più riuscire a mettere d’accordo tutti i paesi dell’Unione nell’accettarle e nel rispettarle. Il che risulta piuttosto difficile con casi di finanziamento pubblico che in Germania sono ben più numerosi rispetto all’Italia oppure con sospetti circa la disparità di trattamento che si sono moltiplicati proprio in questi giorni con il salvataggio, attraverso fondi pubblici in Portogallo della settima banca del paese.
Fondi pubblici che, alla fine, costringevano tutti i contribuenti, indistintamente, a pagare. Per questo motivo si è preferito arginare il rischio all’interno della banca in crisi.
Bail in: cos'è?
Ma al di là delle polemiche e ancora di più delle difficoltà oggettive che in Europa non mancano mai, cosa è alla fine il Bail In ovvero il coinvolgimento diretto di azionisti, obbligazionisti e, in casi estremi, anche dei correntisti? Anche in questo caso bisogna fare una prima precisazione: si parla di risoluzione e non di fallimento perchè il primo obiettivo è quello di non interrompere il servizio erogato come quello del pagamento (cosa che la liquidazione farebbe) e di riuscire a salvaguardare la parte sana da quella eventualmente in pericolo.
Inoltre la volontà del legislatore europeo è stata quella di preservare, insieme alle finanze pubbliche (in Europa il dissesto sui conti di stato fa parte ormai della regola) anche assicurare i depositi tutelati da garanzia e salvaguardare tutte le altre attività che altrimenti, in caso di rischio sistemico avrebbero potuto essere in pericolo.
Quando si impone la risoluzione?
Se la banca è in dissesto o a rischio dissesto, quando la ricapitalizzazione non è sufficiente a evitare il dissesto, quando la liquidazione diventa inevitabile e bloccherebbe l’erogazione del servizio.
Prima di arrivare a toccare gli interessi dei privati però, le autorità di risoluzione avranno a disposizione altri strumenti da utilizzare nel tentativo di rimettere in sesto le finanze dell’istituto in crisi.
Nello specifico potranno vendere tutte o parti di attività (ramo dell’azienda o linee di business) a un privato, creare una bridge bank ovvero un veicolo che gestirà temporaneamente le attività (comprese quelle sane)in modo da rendere continuo il servizio erogato e garantire i vantaggi ai privati fino al trasferimento nel futuro organismo sano, oppure, come altra opzione, ci sarebbe lo scorporo delle attività virtuose dai passivi e il trasferimento di questi ultimi in una cosiddetta bad bank la quale avrà il dovere di gestirne la liquidazione nel modo potenzialmente più vantaggioso o comunque che garantisca il minor livello di perdita per l’istituto stesso.
Il bail in ovvero il salvataggio interno rientra nel poker delle opzioni.
Chi paga?
In questo passaggio a essere chiamati in causa sono coloro che, secondo logica, avrebbero investito in strumenti potenzialmente pericolosi assumendosi anche l’onere della perdita al momento della sottoscrizione.
E qui rientra l’interrogativo che in queste settimane le autorità giudiziarie sono chiamate a sciogliere: tutti coloro che hanno investito i loro risparmi in strumenti ad alto rischio e spesso con pochi ritorni, erano realmente consapevoli e/o correttamente informati di quanto avrebbe poi potuto avvenire ed è alla fine avvenuto?
Ad ogni modo secondo le direttive europee ad essere aggrediti con il bail-in saranno in primo luogo gli azionisti, quindi chi detiene obbligazioni subordinate, in terzo luogo i creditori privi di garanzie e poi in ultima istanza persone e imprese che posseggono un conto corrente superiore ai 100mila euro, soglia al di sotto della quale scatta la garanzia del Fondo Europeo.
L’ente risolutore avrà l’obbligo di azzerare o convertire le attività.
Chi si salva?
Da specificare il trattamento per i conti correnti, visti come ultima risorsa qualora tutte le precedenti non fossero sufficienti a salvare l’istituto. Tutti i conti correnti entro la soglia dei 100mila euro sono protetti dal Fondo di garanzia dei depositi e quindi non saranno toccati in caso di bail in, così come anche le somme in un libretto di deposito e i certificati di deposito ovviamente sempre entro la somma dei 100mila euro per ogni titolare e non per ogni conto.
In altre parole in caso di conto cointestato la copertura è di 100 mila euro per ogni titolare mentre il titolare che nella stessa banca ha più conti correnti la cui somma supera i 100mila euro si vedrà comunque garantita la cifra di 100mila euro.
Ad essere esclusi dal provvedimento anche i detentori di obbligazioni bancarie garantite, i contenuti delle cassette di sicurezza, i fondi di investimento collettivo (Oicr) e i debiti verso i dipendenti, quelli commerciali e quelli fiscali purchè privilegiati dalla normativa fallimentare.
Tutelati anche gli assegni circolari e i certificati di deposito nominativi (non quelli al portatore)
Come evitare di essere coinvolti?
Ovviamente non esistono strategie precise per far sì che il bail in non coinvolga anche i nostri risparmi. la prima, e forse più ovvia considerazione che si può fare adesso, soprattutto alla luce di quanto accaduto per il caso del salvataggio delle quattro banche (Banca Marche, BancaEtruria, CariChieti e CariFerrara) è quello, nel caso si voglia investire in strumenti offerti dalla banca e basati sulla banca stessa, di capire fino in fondo le dinamiche che li regolano e soprattutto i rischi cui si potrebbe andare incontro anche chiedendo consulenze esterne e ricordando che, per ovvi motivi, i dipendenti della banca hanno tutto il vantaggio a “piazzare” gli strumenti.
Istintivamente verrebbe da pensare, anche in nome del famoso Too big to fail, di guardare alle banche di grandi dimensioni, ma la paura presa in passato per i rischi di fallimento anche di grandi banche dal forte valore storico, non permette di rendere questa regola una garanzia.
I filtri di Bankitalia e Bce
Se non altro però, sui grandi istituti, resta la duplice vigilanza di banca d’Italia (per quanto possa servire date le “sviste” su Banca Etruria) e quella della Bce.
Inoltre, sempre guardando alle grandi banche, non bisogna dimenticare che spesso nei cda siedono anche fondi assicurativi, fondi pensione e altri soggetti esterni che fanno da filtro a potenziali manovre a rischio di gravi perdite. Inoltre si può avere un’idea di massima della situazione dal momento che spesso occupano le cronache finanziaria (nel bene e nel male) a differenza delle piccole realtà dove il gioco “privato” è spesso una regola che estromette chi non è del giro.
Andando però oltre la generalità e volendo guardare ai numeri è sempre buona norma dare un’occhiata all’analisi di bilancio e al Cet 1 ratio, oltre ai report finanziari trimestrali e semestrali .
Guardando semplicemente il parametro del Common Equity Tier 1 (Cet1) cioè il rapporto tra il capitale ordinario e le attività ponderate per il rischio si può avere un’idea di base della solidità della banca: secondo le direttive imposte dalla Bce la misura minima su cui si deve fissare la banca è dell’8% con valori che vengono assegnati periodicamente dopo controlli da p Fonte: News Trend Online