La selezione darwiniana in borsa: vince chi si adegua

Gaetano Evangelista Gaetano Evangelista - 17/07/2025 08:55

Ogni due anni in media un bear market dal 2018 ad oggi. Eppure i ribassisti sono frustrati, mentre chi ha lasciato parlare il mercato, senza sovrapporgli il rumore esogeno, ha prosperato. Ed ora si lavora agli obiettivi per fine anno.

Battendo le stime per il quinto mese consecutivo, l’inflazione negli Stati Uniti a giugno risulta ancora una volta inferiore alle aspettative, generando una palpabile frustrazione fra chi prefigurava una perdita completa di controllo della crescita dei prezzi al consumo da parte delle autorità monetarie, con conseguente rialzo brutale dei tassi di interesse che avrebbe scaraventato l’economia in recessione, e le borse in bear market. Non è andata così.
Alla sempre provvidenzialmente folta pattuglia dei ribassisti sfugge un dato determinante: Wall Street ha concesso loro non uno, ma ben quattro bear market negli ultimi otto anni - uno in media ogni due anni - di cui l’ultimo appena tre mesi fa. Una bella differenza rispetto al 2007, quando una contrazione del 20% mancò per tutti i cinque anni che precedettero il picco, mentre nel 2000 un mercato Orso si manifestò soltanto una volta nei dieci anni prima del top assoluto.

Questo per rilevare come le borse in questo lustro abbondante abbiano mutato pelle, disegnando traiettorie meno lineari e più volatili, con bull e bear market ciclici alternatisi, pur a fronte di un rialzo strutturale ancora ben fermo dal minimo del lontano 2009. Se ne sono ben accorte negli Stati Uniti le banche di investimento, che nell’ultima trimestrale hanno dichiarato i profitti da trading più consistenti della storia (JP Morgan) ovvero degli ultimi cinque anni (Citi). Ma non tutti hanno realizzato i mutamenti strutturali.
Ieri ad esempio la differenza fra azioni in ribasso ed azioni in rialzo nel paniere dello S&P500 ha superato le 400 unità; eppure la variazione finale è stata negativa soltanto di misura. Dal 1990 è una prima assoluta: in simili condizioni di ampiezza di mercato la perdita sarebbe risultata massiccia. Merito dell’ottimo comportamento dei tecnologici, sul Rapporto Giornaliero gettonatissimi dopo il minimo di aprile; ed in particolare della nostra Nvidia, che ha ricalcato fedelmente il copione suggerito dopo il crash di fine gennaio.

Al netto delle Magnifiche Sette, la borsa americana ha primeggiato da metà marzo ai primi del mese: quando, un po’ sorprendentemente, ha subito il ritorno delle azioni europee; pur a fronte della rinnovata bellicosità commerciale dell’amministrazione Trump. Vedremo se si tratta di un fuoco di paglia o di una nuova gamba di sovraperformance dello Stoxx600, dopo quello immediatamente successivo alle recenti elezioni presidenziali.
Nel frattempo però, dopo la seduta di ieri lo S&P500 si è mantenuto sopra la sua media a 20 giorni per la 55esima seduta consecutiva. Una resilienza non priva di effetti di medio-lungo periodo, come esamineremo nel rapporto di domani. Sullo sfondo, si lavora al conseguimento del target di fine anno delineato nell'aggiornamento del 2025 Yearly Outlook, da poco rilasciato agli abbonati.

Gaetano Evangelista
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