Petrolio: un percorso irto di ostacoli.

Giuseppe Lauria Giuseppe Lauria - 08/07/2025 10:17

La geopolitica e le relazioni internazionali hanno storicamente influito sui prezzi delle materie prime. Se pensiamo al greggio, dalla guerra dello Yom Kippur, scoppiata nel 1973 a seguito di un attacco di Siria ed Egitto nei confronti di Israele, iniziano i primi veri contraccolpi per il petrolio. Oggigiorno ci troviamo dinanzi ad un contesto completamente mutato rispetto a quegli anni. Nelle ultime settimane le tensioni in Medioriente, tra Israele ed Iran, hanno alimentato le preoccupazioni rispetto ad un possibile  aumento dei prezzi del petrolio ma come ho in diverse occasioni sottolineato, solo un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz avrebbe dato impulso verso l’alto alle quotazioni. Parliamo quel  punto d’incontro strategico tra il Golfo Persico ed  il Golfo di Oman. 

Si tratta di un passaggio obbligato per le esportazioni di idrocarburi via mare da parte dei Paesi arabi del Golfo e dell’Iran. Ogni giorno, circa un quinto del volume totale del consumo mondiale di petrolio passa attraverso questo lembo di mare, facendone il tratto più trafficato al mondo.  Bisogna immaginare che nel periodo gennaio-settembre 2024, ogni giorno sono passati attraverso lo stretto una media di 20 milioni di barili di greggio e  prodotti petroliferi. Il Qatar, che è il più grande esportatore mondiale di gas naturale liquefatto, lo utilizza per inviare quasi tutto il suo Gnl. Parliamo di circa 80 milioni di tonnellate all'anno, pari al 20% dei flussi globali. Fondamentale il suddetto Stretto  rappresenta  un lembo di mare largo appena 33 km nel suo punto più stretto, e la corsia di navigazione è larga solo 3 km in entrambe le direzioni. 

Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno cercato negli anni di trovare altre rotte per aggirare l'obbligo di passare per lo Stretto, inclusa la possibilità di costruire nuovi oleodotti. Ma al momento si tratta di una rotta pressoché obbligata. Oppure pensiamo ad esempio alle infrastrutture presenti sul l’isola di Kharg, nel Golfo Persico, da cui prende il largo il 90% dell’export di greggio iraniano alimenterebbe ulteriore tensioni e quindi un vero e netto slancio in aventi delle quotazioni. Se il terminal fosse stato colpito potevano palesarsi gravi ripercussioni sulle quotazioni del petrolio. Un attacco alla capacità di esportazione di petrolio dell’Iran potrebbe togliere 1,5 milioni di barili al giorno di greggio dal mercato globale. L’Iran è il terzo produttore OPEC di petrolio con un output di circa 3 milioni di barili giornalieri, ossia quasi il 3% della produzione mondiale di oro nero. Tutti i timori riguardanti aumenti netti e decisi delle quotazioni del petrolio sono svaniti dopo pochissimi giorni ed i prezzi sono stai nuovamente ricalamitati in area 66,50 dollari al barile, dopo aver lambito gli 80 dollari. 

Dal punto di vista grafico, solo un eventuale superamento al rialzo di area 72,50 potrebbe alimentare ulteriori fasi di acquisto e spingere i prezzi nuovamente verso area 80 ma, nel breve periodo, è difficile immaginare un vero e proprio rally del greggio che con molta probabilità continuerà a veleggiare verso la parte bassa del grafico e magari cedere sotto i 66,50 dollari al barile nelle prossime settimane. Numerosi analisti si aspettano prezzi sotto i 70 dollari al barile per il resto dell’anno in corso, soprattutto a causa di un eccesso di offerta globale e di una persistente incertezza sulla domanda. Oltretutto, le principali banche centrali, tra cui Goldman Sachs, Morgan Stanley, Jp Morgan, si aspettano prezzi del Brent all’interno di una media pari a 66,30 dollari al barile ed un WTI. 

Il mercato attualmente non ha certo problemi  di offerta…e solo specifici eventi possono fornire contraccolpi momentanei alle quotazioni, così come avvenuto nei giorni scorsi quando è stata pubblicata le notizia che  l’Iran ha sospeso la cooperazione con l’agenzia nucleare dell’ONU, aumentando le tensioni geopolitiche nella regione. Ma allo stesso tempo sono diminuiti dopo che è circolata la notizia che gli Stati Uniti prevedono di riavviare i colloqui nucleari con l'Iran, il che potrebbe alla fine portare a una riduzione delle sanzioni e all'aumento delle esportazioni di petrolio iraniane.

Inoltre, non trascuriamo che recentemente l'OCSE ha rivisto le sue previsioni di crescita globale. Numeri pari al  2,9% nel 2025 e nel 2026, in calo rispetto alle precedenti stime del 3,1% e del 3,0%. Questo tipo di rallentamento macroeconomico non favorisce il rally delle materie prime, specialmente quando non esistono problemi di offerta. Mi riferisco a specifiche commodities come ad esempio il petrolio… L'Agenzia internazionale per l'energia (AIE) prevede che la produzione globale raggiungera i 104,9 milioni di barili al giorno nel 2025 e i 106 milioni nel 2026. La domanda, tuttavia, sarà in ritardo: 103,76 milioni di barili al giorno nel 2025 e 104,5 milioni nel 2026.

Il mercato petrolifero continua pertanto ad essere appesantito da una molteplicità di fattori, come ad esempio l'incertezza sulle tariffe statunitensi e il loro potenziale impatto sulla crescita economica globale ha pesato sulle aspettative della domanda.

Il rapporto domanda/offerta  tende ad ulteriormente ad ampliarsi con l'OPEC+ che ha deciso di rilasciare più barili, come previsto nell’ultimo meeting. Aumento della produzione di 548 000 barili al giorno a partire da agosto 2025, superando l’incremento atteso di 411 000 bpd. una crescita economica solida, scorte petrolifere basse e una domanda in ripresa post-conflitto Iran–Israele. Queste alcune delle ragioni che hanno motivato tale decisione.

Il prossimo incontro è già fissato per il 3 agosto 2025, per decidere i livelli di produzione di settembre. Gli analisti di Goldman si aspettano che OPEC+ annunci un aumento finale di 550.000 bpd per settembre. La banca prevede che la produzione di greggio degli otto membri dell'OPEC+ aumenti di 1,67 milioni di barili al giorno tra marzo e settembre, raggiungendo 33,2 milioni di barili al giorno, con l'Arabia Saudita che guida oltre il 60% dell'aumento.

Non dimentichiamo che l’Organizzazione dei Paesi Esportatori ha deciso un aumento della produzione di greggio di 411.000 barili al giorno per luglio dopo aver aumentato la produzione dello stesso importo per giugno. L'Arabia Saudita ha segnalato spesso che potrebbero seguire ulteriori aumenti di dimensioni simili nella produzione di greggio, il che è visto come una strategia per ridurre i prezzi del petrolio e punire i membri dell'OPEC+ che producono troppo, come il Kazakistan e l'Iraq. La produzione di petrolio greggio del Kazakistan è aumentata del 7,5% a giugno a 1,88 milioni di barili al giorno (bpd)

L’obiettivo è anche quello di recuperare quote di mercato.  La quota di mercato dell'OPEC+ è stata superiore al 30% per tutti gli anni 2010, scendendo al di sotto di tale soglia solo dal quarto trimestre 2019 in poi (attualmente il 27%), ma Riyadh e altre economie dipendenti dal petrolio sono ora disposte a rischiare un periodo di prezzi più bassi.

L'Arabia Saudita ha bisogno di petrolio superiore a 90 dollari al barile per bilanciare il suo budget. Il prezzo di pareggio degli Emirati Arabi Uniti è molto più basso: circa 50 dollari. L'Oman ha bisogno di 57 dollari e il Qatar ha bisogno solo di 44,70 dollari. Chiaramente, non tutti i produttori giocano allo stesso gioco, ma il prezzo attuale è accettabile per la maggior parte.

I prezzi del petrolio sono saliti due giorni fa dopo che l’Iran ha sospeso la cooperazione con l’agenzia nucleare dell’ONU, aumentando le tensioni geopolitiche nella regione. Ma allo stesso tempo sono diminuiti dopo che è circolata la notizia che gli Stati Uniti prevedono di riavviare i colloqui nucleari con l'Iran, il che potrebbe alla fine portare a una riduzione delle sanzioni e all'aumento delle esportazioni di petrolio iraniane.

La pesantezza sui prezzi è dovuta anche a causa di un aumento inaspettato delle scorte settimanali di greggio EIA. La scorsa settimana, le scorte di petrolio negli Stati Uniti sono aumentate, al contrario delle attese. Registrato un rialzo di 3,8 milioni di barili secondo i dati diffusi dal dipartimento dell'Energia, con le attese che erano per un ribasso di 1,7 milioni di barili.

Tornando sulla tensione in medio oriente, l’Arabia Saudita ha adottato una posizione relativamente morbida o prudente rispetto al conflitto tra Israele e Iran per una serie di ragioni strategiche, politiche ed economiche…certamente il rischio di un conflitto regionale ampio metterebbe a rischio gli investimenti stranieri e la stabilità interna, senza trascurare che i sauditi mirano a dei progetti di sviluppo economico importanti per continuare il percorso di modernizzazione del Paese. Inoltre, si è avviato ormai da tempo una normalizzazione dei rapporti con Israele, sull’onda degli Accordi di Abramo. 

Teheran ha concluso  il mese di giugno con una produzione di greggio da record, ai massimi da sette anni. Questo per dire che i timori legati al blocco di Hormuz a mio avviso dovevo considerarsi sin da subito esagerati. Non conviene all’Occidente, non conviene alla Cina e non conviene alla stessa Iran che destina gran parte delle estrazioni verso l’economia del dragone. La Cina è il principale acquirente di petrolio dall’Iran, che rappresenta circa il 13,6% dei contratti di quest’anno. nei primi sei mesi di quest’anno la Cina ha acquistato in media 1,3 milioni di barili al giorno di petrolio iraniano. 

Attenzione, un repentino aumento del prezzo del petrolio non è nell’interesse di nessuna delle principali economie consumatrici, soprattutto non degli Stati Uniti. Il prezzo della benzina alla pompa è un barometro politico negli Usa e l’inflazione rappresenta ancora un ostacolo alla riduzione dei tassi d’interesse da parte della Fed. Sostanzialmente un aumento dell'inflazione potrebbe erodere la fiducia dei consumatori e ridurre le prospettive di tagli dei tassi di interesse negli Stati Uniti, complicando un'economia tesa dalle tariffe di Trump.

Focalizzando l’attenzione sull’economia a stelle e strisce e sul comparto petrolifero, la recente indagine sull'attività di perforazione del secondo trimestre 2025 condotta dalla Dallas Federal Reserve Bank indica che l'attività di perforazione in tutto il paese è in declino, con i dirigenti petroliferi che esprimono il loro disappunto per la politica petrolifera di Donald Trump, lamentando l'attenzione dell'amministrazione USA per portare i prezzi del petrolio a 50 dollari al barile, anche se i prezzi di pareggio per i nuovi pozzi si attestano a 62-64 dollari al barile. Tutto questo rende vita difficile al settore dello Shale Oil. Le compagnie petrolifere stanno attualmente vedendo aumenti dei costi del 4-6% anche a causa dell'acciaio recentemente annunciato...

Fatta questa ulteriore precisazione, anche in ottica di medio/lungo periodo iI mercato rimarrà ben fornito sino al 2030. L’Agenzia internazionale per l’energia  prevede che la domanda globale di petrolio aumenterà di 2,5 milioni di barili al giorno (mb/g) tra il 2024 e il 2030, raggiungendo un plateau di circa 105,5 mb/g entro la fine del decennio. Allo stesso tempo, la capacità produttiva globale di petrolio aumenterà di oltre 5 mb/g, raggiungendo i 114,7 mb/g entro il 2030. Ricordo inoltre che  l'aumento della produzione da Stati Uniti, Canada, Brasile, Guyana e Argentina sarà più che sufficiente a coprire la crescita della domanda globale nei prossimi anni.

Giuseppe Lauria 

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