Rassegna Settimanale News Finanziarie - 07 Giugno 2025

Michele Clementi Michele Clementi - 07/06/2025 09:00

La BCE ha chiuso il ciclo dei tagli? Forse sì.

Con il nono taglio dei tassi – il settimo consecutivo – la Banca Centrale Europea ha portato il tasso di riferimento al 2%. La Signora Lagarde potrebbe aver concluso il suo ciclo di allentamento monetario. Secondo quanto comunicato dalla BCE, le aspettative di inflazione sono ora sotto controllo e si manterranno stabili attorno all’obiettivo del 2%. Anche le preoccupazioni legate alle tensioni commerciali internazionali sembrano in fase di attenuazione (forse ci sfugge un accordo ancora non annunciato?), mentre la crescita economica dell’Eurozona è stimata all’1% per quest’anno, con una progressiva ripresa nei prossimi anni.

Negli Stati Uniti, invece, il primo taglio dei tassi da parte della Fed è atteso non prima dell’autunno. Tuttavia, Donald Trump continua a spingere per una riduzione immediata di un punto percentuale. Sarebbe interessante se, contrariamente alle aspettative degli ultimi due anni – spesso disattese proprio in tema di tagli – il presidente della Fed, Jerome Powell, sorprendesse il mercato con una mossa già il 19 giugno o il 30 luglio. Staremo a vedere.

Quel che è certo è che il differenziale tra i tassi d’interesse in Europa e negli Stati Uniti si sta ampliando: il 2% nell’Eurozona contro il 4,25–4,50% negli USA. Oltre due punti percentuali di scarto – praticamente il doppio.

In questo contesto, si riapre la stagione del carry trade: ci si indebita in euro, si vendono le valute a basso rendimento e si acquistano asset in dollari, che rendono di più. Questo dovrebbe rafforzare il dollaro. Eppure, gli analisti continuano a prevedere un indebolimento del biglietto verde. Lo stesso Trump auspica una valuta più debole per favorire l’economia statunitense: un “dazio invisibile” ma molto concreto, che rende più costosi i prodotti esteri per gli americani, incentivando il consumo di beni prodotti in patria.

Nonostante queste forze opposte, il cambio euro-dollaro si muove in una fascia laterale tra 1,10 e 1,15. Personalmente, vedo più probabile un ritorno verso 1,20. In fondo, il carry trade equivale a vendere euro per acquistare l’incertezza americana, dove più che il volto di George Washington, qualcuno ormai vede quello di Donald Trump.

Il crescente deficit statunitense è una realtà – e non lo dice solo Elon Musk. Trump, infatti, non è ancora riuscito a stringere gli accordi commerciali che prometteva, quelli che avrebbero dovuto portare i leader stranieri alla Casa Bianca “con il cappello in mano”.

Morale della storia: alzare la voce non basta. Serve credibilità. Altrimenti, si finisce solo per abbaiare alla luna.

“Segnatevi questo post per il futuro. La verità verrà a galla.”


Con queste parole, Elon Musk annuncia la fine della sua alleanza con Donald Trump. Il messaggio, pubblicato sui suoi profili social, fa riferimento ad alcuni video provenienti dall’archivio "Epstein Files", in cui si conferma il legame tra l'ex Presidente degli Stati Uniti e Jeffrey Epstein, il discusso finanziere morto suicida in carcere e accusato di pedofilia.

Un'alleanza da 277 milioni

Facciamo un passo indietro. Elon Musk aveva investito ben 277 milioni di dollari per sostenere il ritorno di Trump alla presidenza. In cambio, era stato nominato a capo del Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE), un organismo pensato per snellire la macchina statale. Tuttavia, l’idillio è durato poco.

Le dimissioni e lo scontro sulla legge di bilancio

Musk si è infatti dimesso in settimana, accusando Trump di aver approvato una legge di bilancio chiamata “One Big Beautiful Day”, di cui afferma di non essere stato nemmeno informato. Ha definito la manovra un “disgustoso abominio”, sostenendo che porterà il deficit federale ad aumentare di 3,8 miliardi di dollari.

Trump ha replicato che le parole di Musk sono una reazione alla nuova normativa che elimina gli incentivi per le auto elettriche, un duro colpo per Tesla.

Mercati in allarme e cambio di rotta

In mezzo alla polemica, Musk aveva annunciato l’intenzione di smantellare la navicella Dragon, simbolo della sua corsa allo spazio. Tuttavia, dopo un -15% in Borsa, ha fatto rapidamente marcia indietro. Ora è Trump a minacciare di revocare i contratti governativi a Space X, l'altra grande azienda di Musk oltre a Tesla.

Impeachment e un nuovo partito?

Il conflitto si è ulteriormente inasprito: Musk ha espresso sostegno all’impeachment di Trump, chiedendo che venga avviata una votazione in Senato per rimuoverlo dalla presidenza. Ha anche lanciato l’idea di fondare un nuovo partito politico e ha rilanciato pesanti accuse contro Trump, sostenendo che i suoi dazi commerciali porteranno gli Stati Uniti alla recessione.

Quale futuro per Musk

Come finirà questa storia? Musk seguirà il destino di John Lennon, che fu dichiarato “ospite indesiderato” per le sue posizioni pacifiste, e rischierà l’espulsione dagli Stati Uniti?
Oppure tornerà sui suoi passi per salvaguardare i suoi interessi e le sue aziende, lasciando le polemiche alle spalle?

Tutto può accadere in questa nuova “socialnovela” americana. Ma a noi, alla fine, cosa ne viene in tasca?
Se davvero tutto questo fosse una montatura mediatica, la risposta potrebbe essere: ben poco.

Se fosse tutto studiato a tavolino per ridare credibilità a Tesla in crisi di vendite agli occhi del mondo come risarcimento dei 277 milioni dati a Trump?

Curiosità:

Stai valutando un nuovo servizio on line?

Nel mondo del marketing digitale, uno dei concetti più affascinanti (e spesso sottovalutati) è quello del Messy Middle, termine coniato da Google per descrivere la complessità e la non linearità del processo decisionale del consumatore online.

Tradizionalmente, il percorso del consumatore veniva rappresentato come un imbuto (il cosiddetto marketing funnel) suddiviso in fasi: consapevolezza, considerazione, decisione. Questo modello, sebbene ancora utile, è diventato troppo rigido per spiegare il comportamento d'acquisto moderno, che è invece caotico, frammentato e altamente influenzabile in ogni momento.

Ed è proprio qui che entra in gioco il Messy Middle.

Che cos'è il Messy Middle?

Il Messy Middle (letteralmente: “mezzo confuso”) è quella fase intermedia del processo d’acquisto in cui il consumatore, dopo aver preso coscienza di un bisogno, entra in un vortice di esplorazione e valutazione. Durante questa fase, l’utente:

  • Cerca informazioni sui prodotti o servizi
  • Confronta alternative
  • Legge recensioni
  • Guarda video
  • Visita più volte siti web o e-commerce
  • Si lascia influenzare da pubblicità, influencer, social media, e-mail marketing e altro ancora

Il processo non è lineare: il consumatore può tornare più volte sui propri passi, cambiare idea, accrescere o ridurre il proprio interesse, fino a giungere (eventualmente) a una decisione di acquisto.

Le due dinamiche chiave del Messy Middle

Secondo la ricerca di Google, nel Messy Middle avvengono due attività principali:

  1. Esplorazione: l’utente amplia le proprie opzioni cercando nuove informazioni, scoprendo prodotti, brand e offerte.
  2. Valutazione: l’utente restringe le opzioni, comparando ciò che ha trovato, mettendo a confronto prezzi, caratteristiche e vantaggi.

Questo ciclo di esplorazione e valutazione può ripetersi molte volte, e il punto in cui si conclude dipende da una serie di bias cognitivi e stimoli esterni.

I fattori che influenzano le decisioni

Durante il Messy Middle, alcuni principi psicologici possono determinare l’esito della scelta finale. Tra i principali ci sono:

  • Bias di familiarità: tendiamo a preferire ciò che ci è più noto
  • Prova sociale: recensioni positive e testimonianze ci rassicurano
  • Avversione alla perdita: le offerte a tempo limitato ci spingono ad agire in fretta
  • Effetto di autorità: ci fidiamo di brand, esperti o fonti percepite come competenti
  • Semplificazione: opzioni più chiare e semplici hanno maggiori probabilità di essere scelte

    Ti riconosci in questo modo di fare acquisti on line o forse riconosci la politica di oggi?

LA SETTIMANA IN BORSA

Anche questa settimana si è conclusa positivamente per i mercati finanziari, che continuano a salire nonostante un contesto macroeconomico caratterizzato da segnali contrastanti e previsioni cupe. Gli analisti continuano a parlare di una recessione imminente, ma gli indici sembrano ignorare gli allarmi e procedono spediti.

Germania e BCE rispondono con misure espansive

A rispondere alle preoccupazioni è stata la Germania, che ha annunciato un ambizioso piano fiscale da 46 miliardi di euro per sostenere le imprese e rilanciare la crescita. Nel frattempo, la Banca Centrale Europea ha effettuato l’ennesimo taglio dei tassi, portando il tasso di riferimento al 2%, con ben nove tagli negli ultimi due anni.

Performance settimanale indici europei

I principali listini europei hanno chiuso in rialzo:

  • DAX (Germania): +1,54%
  • CAC 40 (Francia): +0,87%
  • FTSE MIB (Italia): +1,55%
  • FTSE 100 (Regno Unito): +0,73%
  • EURO STOXX 50: +1,33%
  • MSCI Europe: +1,16%

Trump e Musk: la lite distrae dai veri temi

Mentre i media si concentrano sullo scontro tra Tycoon e Musk, è passata quasi inosservata la telefonata tra Trump e Xi Jinping, che ha riaperto il tavolo delle trattative sui dazi commerciali. La situazione è urgente: molte aziende hanno interrotto temporaneamente le consegne, temendo l’imprevedibilità delle misure commerciali, in un contesto in cui anche un viaggio delle merci di due settimane può diventare un’incognita, data la volubilità di Trump.

Wall Street continua a correre

Anche i listini americani chiudono in positivo:

  • S&P 500: +1,5%
  • Nasdaq: +2,18%
  • Russell 2000: +3,19%
  • MSCI World: +0,86%

Indicatori macro: nessun taglio della Fed per ora

Il mercato del lavoro statunitense resta stabile, con un tasso di disoccupazione al 4,2% per il terzo mese consecutivo. Cresce però l'attenzione sul costo orario del lavoro, salito dello 0,4% mensile e del 3,9% su base annua. A compensare i tagli all’occupazione federale – avviati da Musk prima delle dimissioni – sono stati i settori di sanità, ospitalità e assistenza sociale. In flessione invece il comparto manifatturiero e le vendite al dettaglio.

Il presidente della Fed, Jerome Powell, mantiene una posizione attendista, rinviando eventuali tagli estivi a meno di sorprese o shock esterni.

Tecnica e valutazioni: il rally continua

Nonostante lo scetticismo, anche gli indici statunitensi sono in territorio positivo da inizio anno. Tuttavia, per gli investitori europei pesa la svalutazione del dollaro, che ha perso circa il 10% nel 2025. Ogni ribasso è stato finora visto come un’opportunità d’acquisto, con una volatilità stabile sotto i 20 punti.

Solo due settimane fa, i mercati reagivano con panico ai dazi del 50% imposti sull’Europa, ma senza reali sviluppi o accordi, le perdite sono state interamente recuperate.

Europa: “malata” ma in forma smagliante in borsa

La Germania continua a essere dipinta da molti media italiani come la "malata d’Europa", ma in realtà dispensa fondi pubblici con generosità e i suoi indici borsistici hanno guadagnato oltre il 20% da inizio anno. Anche l’Italia è tra le migliori Borse mondiali, ma la politica nazionale sembra ancora non accorgersene. Quando il merito verrà finalmente rivendicato, potrebbe essere il momento di vendere.

Prospettive per la prossima settimana

Una pausa di consolidamento sarebbe auspicabile, ma i mercati non seguono mai una logica lineare: non devono scendere per forza prima di risalire, né aspettare gli scettici. Molti investitori, spaventati dalle cattive notizie, sono usciti troppo presto e ora si ritrovano fuori dai giochi, incerti sul da farsi. E nulla è più frustrante che non essere invitati alla festa pur avendo i soldi per partecipare.

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