Moody's declassa gli Stati Uniti: persa la tripla A anche per l'ultima delle "tre sorelle"
Moody's era rimasta l'unica delle tre principali agenzie di rating – insieme a S&P e Fitch – a mantenere la prestigiosa tripla A sul debito sovrano degli Stati Uniti. Dopo i downgrade già avvenuti lo scorso anno da parte delle altre due agenzie, anche Moody's ha infine deciso di abbassare il giudizio.
La notizia, tutt'altro che inaspettata, era ampiamente scontata dai mercati e dagli investitori. Il ritardo con cui è arrivata la decisione è legato alle tempistiche più lunghe del processo di revisione adottato da Moody's, che può richiedere tra i 18 e i 24 mesi dal momento in cui un'obbligazione viene posta sotto osservazione.
Le motivazioni del downgrade non sorprendono: Moody's ha citato l'aumento del debito pubblico e degli oneri per interessi, che risultano "significativamente più elevati rispetto ad altri Paesi con rating simile". L'agenzia ha poi sottolineato come, dal momento in cui la situazione è stata posta sotto osservazione:
"Le successive amministrazioni statunitensi e il Congresso non sono riusciti a concordare misure efficaci per invertire la tendenza dei grandi deficit fiscali annuali e dei crescenti costi degli interessi".
Ora resta da vedere se Donald Trump alla Casa Bianca riuscirà laddove i predecessori hanno fallito, riportando gli Stati Uniti alla tanto ambita tripla A e, forse, realizzando davvero il suo slogan: Make America Great Again.
Intanto le detenzioni di Treasury da parte di investitori stranieri sono balzate a 9,05 trilioni di dollari a marzo, un nuovo massimo storico, in aumento di oltre 233 miliardi rispetto agli 8,81 trilioni di febbraio. Rispetto a un anno fa, i titoli del Tesoro posseduti da stranieri sono cresciuti di quasi il 12%. Il secondo paese dopo la Cina è diventato il Regno Unito.
Inflazione USA in calo: Trump chiede tagli ai tassi, ma i mercati restano cauti
Questa settimana sono stati diffusi i dati sull'inflazione negli Stati Uniti relativi al mese di aprile, e i numeri si sono rivelati incoraggianti: l'inflazione annua è scesa al 2,3%, il livello più basso degli ultimi quattro anni. Le aspettative degli analisti si attestavano al 2,4%, in linea con il dato di marzo, mentre l'inflazione core — che esclude i beni più volatili come energia e alimentari — è rimasta stabile al 2,8%.
Una chiave di lettura, valutando la differenza dei due dati è riposta nel prezzo del petrolio che negli ultimi mesi come molti investitori ha scontato un rallentamento economico mondiale facendo scendere il prezzo sulle aspettative di un calo della domanda. Se come sembra, la crescita rimarrà sostenuta anche se non esorbitante, ci si può aspettare una ripresa del prezzo del petrolio che potrebbe impattare sull'inflazione.
La reazione di Donald Trump non si è fatta attendere: l'ex presidente ha subito invocato un taglio deciso dei tassi d'interesse. Tuttavia, i mercati sembrano restare scettici su un intervento imminente da parte della Federal Reserve, almeno nel breve periodo. Le aspettative restano ancorate a uno scenario di status quo per tutta l'estate, in attesa di ulteriori indicazioni, soprattutto sul fronte degli accordi commerciali internazionali e dei loro effetti sull'economia reale.
Si profila, dunque, un potenziale braccio di ferro tra la spinta politica, incarnata da Trump, e la linea più prudente della Fed guidata da Jerome Powell. La storia insegna: negli anni '80, un taglio prematuro dei tassi portò a un ritorno dell'inflazione a doppia cifra, un errore che oggi si vuole evitare a tutti i costi.
In questo contesto, meglio un sano scetticismo che un'euforia prematura. I mercati finanziari solidi crescono affrontando le incertezze — "arrampicandosi su un muro di paura" — mentre quelli che si avvicinano alla bolla tendono a ignorare i segnali di pericolo all'orizzonte.
Curiosità:
Trump in Medio Oriente: pioggia di miliardi e un "regalo" da 400 milioni
Questa settimana Donald Trump ha intrapreso un viaggio in Medio Oriente che, più che un'iniziativa diplomatica, somiglia a una vera e propria missione d'affari. L'obiettivo? Attirare ingenti investimenti dai Paesi del Golfo.
I primi risultati non sono mancati: l'Arabia Saudita ha promesso investimenti per 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti entro quattro anni, mentre gli Emirati Arabi Uniti hanno rilanciato con una cifra ancora più ambiziosa — 1.400 miliardi di dollari in dieci anni. Numeri da confermare, certo, ma che segnano una netta discontinuità rispetto all'era Biden. Su questo fronte, Trump sembra raccogliere frutti dove il suo predecessore aveva fallito.
Ma la sorpresa arriva dal Qatar. L'Emiro Tamim bin Hamad Al Thani ha deciso di omaggiare direttamente l'ex presidente con un regalo personale piuttosto insolito: un nuovo Air Force One dal valore stimato di 400 milioni di dollari, realizzato in Svizzera. Un dono che ha sollevato più di un interrogativo: si tratta di un omaggio personale? Conflitto di interessi? È soggetto a tassazione? In Italia, ad esempio, i regali aziendali vengono tassati, ma negli Stati Uniti le norme sono più flessibili — e, almeno per ora, il jet sembrerebbe destinato all'uso personale di Trump, anche dopo la fine del suo eventuale secondo mandato. Un interrogativo me lo sono posto anche io? I dazi? Trump ha fatto un'eccezione?
Il velivolo — un Boeing 747 lungo 76 metri, con un'autonomia di 14.000 km e una velocità massima di 1.050 km/h — è attualmente in fase di completamento in Texas. I dettagli fanno pensare più a un hotel di lusso che a un mezzo di trasporto: cinque lounge, due camere da letto (una padronale e una per gli ospiti), undici bagni, cinque cucine, 40 schermi televisivi, un ufficio privato per il presidente e finiture in legno pregiato. Non mancano nemmeno le scale interne che collegano i due piani dell'aereo.
Il completamento è previsto per dopo il 2025, ma Trump ha già in mente una destinazione finale: donare l'aereo alla sua futura Trump Presidential Library Foundation, aggiungendo così un ulteriore tassello alla costruzione della sua eredità politica — e, naturalmente, del suo brand.
LA SETTIMANA IN BORSA
La settimana si conclude con un segno positivo trainati dal rasserenamento del fronte dazi più che dal fronte vero e proprio che rimane ancora tinto di rosso sangue. L'Italia è il migliore listino dell'Europa, trainata forse dalle fake news per cui siamo un paese che nonostante un raging BBB (in miglioramento) siamo ormai considerati meno rischiosi della turbolenta Germania, nonostante loro siano AAA.
Ormai è chiaro che gli italiani si bevono qualsiasi cosa, basta che faccia ubriacare di felicità.
I principali indici europei hanno chiuso in rialzo:
- DAX: +1,10%
- CAC: +1,88%
- FTSE MIB: +3,27%
- Eurostoxx 50: +2,17%
- MSCI Europe: +2,19%
- Londra: +1,52%
I mercati a stelle e strisce tornano positivi da inizio anno
Settimana in forte rialzo trainati dalle Mega cap che rialzano la testa ed è interessante notare come da inizio anno siano nuovamente positivi rispettivamente del 2 e 1 percento Nasdaq e S&P, mentre le piccole aziende rappresentate dal Russel 2000 sono al palo con un -10% a causa dei non tagli dei tassi di interesse, quando nell'ultimo trimestre del 2024 sembravano essere quelle più performanti per l'anno nuovo quando si stimavano fino a cinque tagli da parte della Fed, oggi scesi a due/tre per dopo l'estate se non ci saranno peggioramenti inflattivi.
- S&P 500: +5,27%
- Nasdaq: +7,15%
- Russel 2000: +4%
Il Quadro Tecnico degli Indici Americani
Come già scritto, gli indici S&P e Nasdaq sono tornati con il segno positivo YTD e la cosa interessante è come in un solo mesi si sia passati da un -20% dai massimi che sanciva il bear market, ad un +25% che inaugura un nuovo bull market con oltre il 70% dei titoli sopra la rispettiva media mobile a conferma dell'impostazione rialzista della maggioranza del listino. Non solo le mega cap come nel 2024, ma una partecipazione corale di tutti i titoli.
Questo è avvenuto nell'incredulità totale, come la maggioranza degli investitori che si definiscono ribassisti, forse increduli, costretti a chiudere le posizioni ribassiste aperte quando sembrava inevitabile un avvitamento del mercato verso il basso.
Prospettive per la Prossima Settimana
La settimana appena conclusa potrebbe essere interpretata sulla spinta delle ricoperture per le scadenze dei derivati nel mese di maggio. Ricoperture che potrebbero continuare a sostenere i listini anche in casi di ribassi, sulla scia della grande paura di chi oggi detiene scommesse contro il mercato probabilmente in perdita a causa della forte ripresa delle ultime settimane. Quindi potrebbero proprio i ribassisti spaventati sostenere i mercati se ci fossero delle prese di beneficio di chi invece ha comprato sui ribassi di aprile. La solita guerra tra orsi e tori che nel lungo periodo è spesso o quasi sempre vinta da chi crede nel rialzo.
Michele Clementi