Dazi, la giustizia americana blocca l’iniziativa di Trump: “Non ha l’autorità”
Come riportato in una precedente newsletter, dodici Stati americani avevano presentato ricorso contro il diritto del Presidente di aumentare unilateralmente le tariffe doganali. A questo ricorso si è affiancato anche quello presentato da Vos Selections, l’azienda di importazione di vini guidata da Victor Schwartz, attiva da quasi 40 anni e specializzata in prodotti provenienti da 16 Paesi, tra cui l’Italia.
In un’intervista, Schwartz ha raccontato come, insieme al suo team di 19 collaboratori, abbia esaminato centinaia di prodotti del proprio portafoglio analizzando i codici delle unità di stoccaggio (SKU), nel tentativo di comprendere l’impatto dei dazi. “Abbiamo dovuto ragionare come se avessimo davanti una sfera di cristallo nebulosa”, ha dichiarato, “per cercare di capire quali sarebbero stati i nostri costi, l’impatto sulle vendite e quanto un determinato prodotto potesse sostenere un eventuale aumento dei prezzi”.
Alla fine, la previsione per l’azienda era una perdita significativa. “Abbiamo deciso di affrontare il problema di petto”, ha spiegato Schwartz. Così lui, insieme ad altri imprenditori nelle stesse condizioni, ha deciso di intentare causa contro l’amministrazione Trump per contestare l’imposizione dei dazi.
La US Court of International Trade, composta dai giudici Jane Restani (nominata da Ronald Reagan), Gary Katzmann (Barack Obama) e Timothy Reif (Donald Trump), ha stabilito all’unanimità che il presidente non ha l’autorità di imporre dazi globali in base all’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA), una legge del 1977 mai utilizzata prima per giustificare aumenti tariffari.
La Corte ha ribadito che la Costituzione degli Stati Uniti attribuisce al Congresso il potere esclusivo di regolamentare il commercio con l’estero. Il presidente può intervenire soltanto in situazioni di emergenza nazionale per tutelare l’economia del Paese. Secondo la sentenza, questa emergenza non sussisteva.
Dal canto suo, la Casa Bianca ha fatto sapere di essere pronta a usare tutti gli strumenti a disposizione per difendere la politica dell’America First, accusando la magistratura di abuso di potere e preannunciando un possibile ricorso alla Corte Suprema. Una mossa che potrebbe avere ripercussioni significative sull’economia globale. Così fosse speriamo che la decisione sia effettivamente lasciata ai "saggi" della Corte Suprema, e comunque, il Congresso potrebbe essere dalla parte di Trump e sarebbe questione di iter legislativo e quindi di tempo per riprendere la battaglia verso i paesi ostili.
Notizia dell'ultima ora: una corte d'appello federale li ha però ripristinati temporaneamente, ordinando ai querelanti di rispondere entro il 5 giugno e all'amministrazione entro il 9 giugno. Trump rilancia dazi sull'acciaio dal 25% al 50%.
Settimana movimentata per i mercati: PIL rivisto al rialzo e timori di stagflazione
Questa settimana i mercati sono stati influenzati da due notizie principali. La prima, meno negativa del previsto, riguarda la revisione della prima stima del PIL: il dato è stato corretto a -0,2% rispetto al -0,3% precedente, con una sorpresa positiva per gli analisti che si attendevano una conferma della stima iniziale.
La seconda notizia di rilievo sono state le minute dell’ultima riunione della Federal Reserve, accompagnate da un commento del presidente Powell. Quest’ultimo ha ribadito le sue preoccupazioni per un possibile aumento dell’inflazione, in un contesto di rallentamento economico e crescita della disoccupazione. Una combinazione che delinea un possibile scenario di stagflazione, tra i più temuti dagli investitori. Nonostante ciò, Powell ha confermato l’intenzione di procedere con un taglio dei tassi di interesse entro la fine dell’anno, ma senza cedere alle pressioni, in particolare quelle provenienti da Donald Trump, che sollecita una riduzione più rapida.
Il dato sul PIL è stato penalizzato soprattutto dall’aumento delle importazioni, che incidono negativamente sul calcolo complessivo. Questo incremento è stato legato alle scorte accumulate dalle aziende in previsione dei dazi. La bilancia commerciale ha registrato un marcato -5%. Nella seconda lettura del PIL, inoltre, è emerso un rallentamento dei consumi: la spesa dei consumatori è stata rivista al ribasso, passando da un +1,6% a un più modesto +1,2%. In controtendenza, invece, gli investimenti aziendali sono stati corretti al rialzo, raggiungendo un solido +10,3%.
A preoccupare maggiormente i mercati, però, sono stati gli utili societari, scesi del 2,9% – il calo più accentuato dal 2020. Questo dato riflette una domanda interna ed esterna in indebolimento, oltre all’impatto negativo delle nuove tariffe imposte da Trump. Le misure, applicate in modo irregolare, hanno generato incertezza e disorientamento nei bilanci aziendali.
Tuttavia, i margini di profitto rimangono ancora superiori alla media storica, grazie al fatto che molte aziende sono riuscite a trasferire l’aumento dei costi sui prezzi finali. A dimostrarlo è il dato sull’inflazione, che è accelerata dal +2,6% al 3,4% (sebbene leggermente sotto le attese, fissate al +3,5%).
In sintesi, il quadro generale rimane incerto e poco rassicurante per gli investitori. In un clima di crescente sfiducia a livello internazionale, la domanda di beni americani sta diminuendo anche per effetto di una sorta di “ritorsione psicologica” da parte dei consumatori esteri. In questo contesto, le aziende più solide potrebbero approfittare dei rincari per mantenere competitività, mentre a farne le spese sarà il consumatore americano. Alla fine, infatti, è lui a pagare il prezzo più alto dei dazi, che si traducono in un’imposta indiretta sui beni finali.
Curiosità:
Il primo economista a introdurre un’idea embrionale di Prodotto Interno Lordo (PIL) fu Adam Smith nella sua celebre opera La ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776. Tuttavia, il concetto moderno di PIL fu sviluppato dall’economista Simon Kuznets nel 1934, in un rapporto redatto per il Congresso degli Stati Uniti. In quel documento, Kuznets definì il PIL come la somma del valore dei beni e servizi finali prodotti all’interno di un paese in un determinato periodo di tempo. Propose inoltre di utilizzare il PIL come indicatore fondamentale per valutare la salute e l’andamento dell’economia nazionale.
La necessità di disporre di un indicatore affidabile per misurare i progressi della crescita economica emerse in particolare dopo la Grande Depressione del 1929, per comprendere meglio l’impatto delle politiche governative sulla capacità di un’economia di generare ricchezza.
Simon Smith Kuznets (nato a Pinsk, oggi in Bielorussia, il 30 aprile 1901, e morto a Cambridge, Massachusetts, l’8 luglio 1985) fu un economista statunitense di origine ebraica. Nel 1971 ricevette il Premio Nobel per l’economia «per la sua interpretazione, empiricamente fondata, della crescita economica, che ha portato a una nuova e più approfondita analisi della struttura sociale ed economica e del suo processo di sviluppo».
Il PIL è spesso rappresentato dalla formula apparentemente semplice:
PIL = C + I + G + (X – M)
dove:
- C rappresenta i consumi privati,
- I gli investimenti delle imprese,
- G la spesa pubblica,
- X le esportazioni,
- M le importazioni (che vengono sottratte perché rappresentano beni prodotti all’estero).
Se le importazioni (M) superano le esportazioni (X), il risultato della bilancia commerciale è negativo, con un effetto potenzialmente rallentante sulla crescita economica. È proprio su questo punto che l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha basato una parte della sua politica economica: cercare di ridurre le importazioni per rafforzare la produzione interna.
Tuttavia, è importante sottolineare che l’introduzione di dazi doganali – imposte sui prodotti importati – può avere effetti collaterali. Sebbene possa ridurre le importazioni, si tratta pur sempre di una tassa finale sui beni, che può aumentare i prezzi al consumo e quindi rallentare la spesa privata. E poiché i consumi rappresentano oltre il 60% del PIL, un calo dei consumi potrebbe frenare l’intera economia.
In sintesi, la ricchezza generata da un paese dipende dalla capacità di spesa di famiglie, imprese e governo. La spesa retail (al dettaglio) è fondamentale perché alimenta gli investimenti aziendali e la spesa pubblica, la cui “potenza di fuoco” dipende dal deficit di bilancio, che a sua volta deve essere finanziato attraverso le entrate fiscali o altre risorse. Un equilibrio efficace tra questi elementi è essenziale per garantire una crescita sostenibile.
LA SETTIMANA IN BORSA
Mercati resilienti nonostante dazi, incertezze politiche e PIL deludente
Nonostante le notizie confuse sui dazi, i dati poco brillanti sul PIL statunitense e le dichiarazioni piuttosto allarmistiche del presidente della Fed Jerome Powell, i mercati finanziari hanno mostrato una sorprendente tenuta. Anzi, in molti casi hanno registrato rialzi significativi. Solo pochi giorni fa, le dichiarazioni dell’ex presidente Donald Trump su possibili dazi al 50% verso l’Europa avevano fatto temere il peggio, lasciando presagire una settimana negativa per le Borse. Invece, contro ogni aspettativa, i mercati hanno reagito in modo positivo, confermando ancora una volta l'importanza di seguire i trend più che le notizie di breve periodo.
Indici europei in rialzo
Ecco come hanno chiuso i principali indici europei:
- DAX (Germania): +1,58%
- CAC 40 (Francia): +0,23%
- FTSE MIB (Italia): +1,55%
- EuroStoxx 50: +0,75%
- MSCI Euro: +0,61%
- FTSE 100 (Londra): +0,62%
Trump, sempre al centro della scena
Donald Trump continua a essere una figura dominante nel panorama politico e mediatico. Sembra quasi che non possa passare un giorno senza conquistare le prime pagine. Le sue dichiarazioni spaziano dai dazi contro l’Europa alla tensione con la Cina, accusata di rallentare l’export di terre rare, fino alle critiche rivolte a Powell e ai giudici federali che, in alcune sentenze, hanno bloccato le sue iniziative, spesso ritenute al limite della costituzionalità.
Intanto Elon Musk si è dimesso dal suo ruolo di consulente per la pubblica amministrazione americana, dove era stato chiamato per proporre una riforma volta a licenziare i dipendenti pubblici improduttivi. Anche in questo caso, però, i giudici hanno fermato i licenziamenti di massa previsti dal piano.
Wall Street in territorio positivo
Nonostante il clima d'incertezza, anche i principali indici statunitensi hanno chiuso la settimana in rialzo:
- S&P 500: +1,88%
- Nasdaq: +2,01%
- Russell 2000: +1,30%
- MSCI World: +1,60%
Nvidia sorprende ancora
Il colosso tecnologico americano Nvidia ha chiuso il primo trimestre con risultati impressionanti:
- Ricavi: 44,1 miliardi di dollari (+69%)
- Utili netti: 18,8 miliardi di dollari (+26%)
Sebbene leggermente inferiori alle previsioni (19,5 miliardi), i numeri confermano la forza dell’azienda, che continua a dominare il settore dei semiconduttori, nonostante le difficoltà legate al mercato cinese.
Quadro tecnico degli indici americani
Dal punto di vista tecnico, gli indici USA mantengono un trend positivo, tornato in territorio “bull market” dopo le turbolenze di aprile. Tuttavia, resta una certa diffidenza tra molti analisti, convinti che si tratti di un semplice rimbalzo all’interno di un mercato ribassista. Una visione forse miope, visto che l’Europa viaggia con guadagni a doppia cifra da inizio anno e anche gli USA, pur più lenti, stanno recuperando terreno e puntano a nuovi massimi storici.
Alcuni settori, in particolare le small cap, risentono ancora del contesto di tassi d’interesse elevati, mentre alcune big tech – come Google – faticano a tenere il passo nel campo dell’intelligenza artificiale, a vantaggio di competitor più aggressivi.
Prospettive per giugno
Con l’inizio di giugno torna il detto "Sell in May and go away", a cui si aggrappano gli investitori ribassisti in cerca di conferme. Eventuali prese di profitto nelle prossime settimane non dovrebbero preoccupare: potrebbero rappresentare un’occasione per chi è rimasto fuori dal mercato e attende un punto d’ingresso.
Nel frattempo, Donald Trump continua a essere un elemento di instabilità, ma sembra che le istituzioni stiano iniziando a contenerne l’impatto. La rapidità della giustizia americana – ben lontana dalla lentezza italiana – rappresenta un vantaggio: laddove in Italia servirebbero anni per una sentenza, negli Stati Uniti bastano pochi giorni o settimane per vedere effetti concreti.