Lo stipendio torna a pesare, e non solo nei conti delle famiglie ma anche nelle scelte della politica economica. La Legge di Bilancio 2026 avanza a passo lento tra commissioni e sub-emendamenti, mentre sul tavolo resta una domanda molto concreta: come rendere più visibili in busta paga gli aumenti contrattuali attesi da milioni di lavoratori. In un contesto di inflazione che ha lasciato il segno e rinnovi firmati dopo lunghi negoziati, la leva fiscale diventa decisiva.
Da qui l’idea di alleggerire l’Irpef sugli incrementi retributivi, una misura mirata che punta a trasformare il lordo in netto in modo più generoso. Per capire chi ne beneficia davvero e cosa potrebbe cambiare, conviene entrare nel dettaglio delle regole e delle proposte in campo.
Chi beneficia oggi dello sconto Irpef sugli aumenti di stipendio
La detassazione sugli aumenti di stipendio è già scritta nero su bianco nella Manovra. Il perimetro, però, è ben definito. L’agevolazione riguarda i lavoratori dipendenti che ottengono un rinnovo contrattuale nel 2025 o nel 2026 e prevede un’imposta sostitutiva del 5% applicata esclusivamente alla quota di aumento.
Il paletto principale è il reddito complessivo: il beneficio spetta solo a chi non supera i 28mila euro annui. Una soglia che intercetta soprattutto operai, impiegati e una parte significativa del pubblico impiego. Per tutti loro, l’aumento di stipendio non viene più “mangiato” dall’Irpef ordinaria al 23%, ma arriva in busta paga quasi per intero.
La differenza si vede subito. Un aumento in busta paga lordo di 100 euro al mese, con tassazione ordinaria, si traduce in circa 77 euro netti. Con l’aliquota agevolata al 5%, invece, il netto sale a 95 euro. Un salto che, su dodici mesi, può fare la differenza quando si parla di spese correnti, bollette e mutuo.
Aumenti di stipendio: come cambia la busta paga con la misura
Dal punto di vista tecnico, la misura è chirurgica: non tocca lo stipendio base, ma solo l’aumento legato al rinnovo del contratto. Questo rende l’intervento più sostenibile per lo Stato e, allo stesso tempo, più leggibile per il lavoratore. In concreto, gli effetti principali sulla busta paga sono questi:
- l’aliquota ridotta si applica solo alla quota di aumento contrattuale;
- il beneficio vale per i rinnovi firmati nel 2025 e nel 2026;
- il tetto di reddito per l’aliquota al 5% è fissato a 28mila euro;
- sulla retribuzione ordinaria continua a pesare l’Irpef standard.
I settori più coinvolti sono quelli che hanno già rinnovato o stanno per rinnovare i contratti collettivi. I metalmeccanici sono un esempio emblematico, ma lo stesso discorso vale per molti comparti del pubblico impiego, dove gli aumenti arrivano spesso in ritardo e concentrati in pochi scatti.
Il risultato è un aumento di stipendio più “tangibile”, che rafforza il potere d’acquisto senza interventi strutturali sul cuneo fiscale, ma con un impatto immediato sul netto mensile.
Estensione fino a 35mila euro: chi guadagna di più con la nuova proposta
Il dibattito politico si è acceso quando Fratelli d’Italia ha rilanciato sull’estensione della misura. Dopo un primo stop per mancanza di coperture, è arrivato un nuovo sub-emendamento che punta ad allargare la platea. La proposta è di mantenere il 5% fino a 28mila euro e introdurre una tassazione agevolata al 10% per chi ha un reddito compreso tra 28mila e 35mila euro.
L’effetto sarebbe duplice. Da un lato, si includerebbe una fetta più ampia di lavoratori, in particolare quella fascia “di mezzo” che spesso resta esclusa dai bonus. Dall’altro, si manterrebbe una progressività implicita, con uno sconto più forte per i redditi più bassi.
Il nodo resta quello delle risorse. Il costo stimato supera i 160 milioni di euro per il 2026, in un momento in cui il governo ribadisce la necessità di tenere i conti sotto controllo. I sindacati, intanto, spingono per un ulteriore allargamento ai rinnovi firmati nel 2024, i cui aumenti di stipendio stanno producendo effetti solo ora.
La partita è ancora aperta. Ma il messaggio che arriva è chiaro: meno tasse sugli aumenti significa più stipendio netto e una busta paga che torna a parlare il linguaggio della concretezza. Un segnale atteso da tempo, soprattutto per chi ha visto crescere i prezzi molto più in fretta della retribuzione.