Analisi Settimanale Mercati Finanziari - 20 Dicembre 2025

Michele Clementi Michele Clementi - 20/12/2025 07:30

Le Banche Centrali: Politiche a Confronto

Questa settimana i riflettori dei mercati finanziari sono puntati sulle decisioni di politica monetaria delle principali banche centrali, ognuna con obiettivi e scenari economici diversi.

Federal Reserve (Fed) – Stati Uniti

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base nella riunione del 10 dicembre, portando il tasso di riferimento nel range 3,50–3,75%. Si tratta del terzo taglio consecutivo nel corso del 2025, riflettendo una maggiore enfasi sul supporto all’occupazione e alla crescita in un contesto di inflazione ancora sopra il target di lungo periodo del 2%. I membri del FOMC hanno mostrato una divisione interna più accentuata del solito sulle scelte future, con alcuni che preferivano mantenere i tassi fermi o tagliarli più aggressivamente. Le proiezioni aggiornate suggeriscono la possibilità di almeno un altro taglio nel 2026, sempre condizionato dai dati economici e dal mercato del lavoro.

In termini di orientamento, la Fed mantiene un approccio prudentemente accomodante, con tagli graduali piuttosto che misure aggressive, ponendo comunque forte attenzione alla dual mandate di stabilità dei prezzi e piena occupazione.

Banca Centrale Europea (BCE) – Eurozona

La BCE ha confermato i tassi di interesse invariati nella riunione di questa settimana, mantenendo il tasso sui depositi al 2,00%. La decisione rispecchia una valutazione di crescita economica moderata e inflazione complessivamente allineata al target di medio termine, pur con pressioni sul settore dei servizi ancora persistentemente superiori. Il Consiglio direttivo ha adottato un atteggiamento di “meeting-by-meeting”, segnalando che le future mosse dipenderanno strettamente dai dati macroeconomici.

Il tenere i tassi fermi indica una politica di neutralità cauta: la BCE ritiene che l’attuale livello dei tassi sia appropriato per sostenere un’espansione economica moderata senza alimentare pressioni inflazionistiche indesiderate.

Bank of England (BoE) – Regno Unito

Diversamente dalla BCE, la **Bank of England ha deciso di ridurre i tassi di interesse di 25 punti base, portandoli a 3,75%. La decisione, votata con margine ristretto (5–4), riflette segnali di rallentamento economico nel Regno Unito, con inflazione in discesa e un mercato del lavoro meno dinamico, oltre a rischi di contrazione della crescita. Gli analisti ora prevedono ulteriori tagli nel corso del 2026, se il quadro macroeconomico dovesse restare debole.

La BoE si posiziona così su una traiettoria più accomodante, con l’obiettivo di stimolare domanda e attività economica interna.

Bank of Japan (BoJ) – Giappone

In netto contrasto con le altre principali banche centrali, la **Bank of Japan ha aumentato i tassi di interesse dello 0,25%, portandoli allo 0,75%, il livello più alto negli ultimi 30 anni. Questo rialzo rappresenta una continuazione del processo di normalizzazione della politica monetaria avviato gradualmente dopo anni di tassi ultra-bassi. La decisione riflette l’inflazione intermittente sopra il target del 2% e segnali di miglioramento delle condizioni economiche interne, pur con incertezze legate alla dinamica del cambio e all’esposizione esterna dell’economia giapponese.

La BoJ adotta una politica più restrittiva rispetto alle ultime decadi, ma la sua impostazione resta cauta e guidata dai dati.

Conclusioni

La settimana mette in luce una divergenza significativa nelle politiche monetarie:

  • La Fed e la BoE continuano su una traiettoria di allentamento graduale, orientate a sostenere crescita e occupazione.
  • La BCE rimane prudente e neutrale, preferendo attendere ulteriori indicazioni macro.
  • La BoJ, invece, avanza con rialzi dei tassi, segnando un allontanamento dalle politiche ultra-allentate del passato.

Questa differenziazione riflette le condizioni economiche eterogenee nei rispettivi territori e le diverse priorità di mandato di ciascun istituto.

Stati Uniti: inflazione e mercato del lavoro in primo piano

Inflazione: sorpresa al ribasso, ma con riserve metodologiche

I dati sull’inflazione a novembre 2025 hanno mostrato una crescita dei prezzi più contenuta delle attese, con il Consumer Price Index (CPI) che è salito del 2,7% su base annua, inferiore alle stime medie degli economisti e al dato di settembre. 

Tuttavia, numerosi economisti e analisti hanno sollevato preoccupazioni metodologiche: i dati potrebbero essere distorti dall’effetto di uno shutdown governativo prolungato che ha interrotto la raccolta di informazioni sui prezzi a ottobre, compromettendo la continuità statistica. Alcuni componenti come i costi abitativi risultano sottostimati nel rapporto, suggerendo che la “pausa inflazionistica” potrebbe essere in parte artefatta.

Occupazione: segnali di indebolimento del mercato del lavoro

Il report più recente sul lavoro indica un quadro misto e complesso:

  • Nell’ultimo mese l’economia statunitense ha aggiunto 64.000 posti di lavoro, superando le attese di circa 40.000 nuove posizioni.
  • Tuttavia, i dati di ottobre sono stati revisionati mostrando una perdita netta di 105.000 posti di lavoro, soprattutto a causa della drastica riduzione di posizioni federali, che ha sollevato dubbi sulla stabilità occupazionale complessiva.
  • Il tasso di disoccupazione è salito al 4,6%, il massimo dal 2021, un segnale concreto di raffreddamento del mercato del lavoro.

Implicazioni per la Federal Reserve

La Fed si trova in un momento decisivo nella gestione della politica monetaria, con due forze economiche che spingono in direzioni opposte:

1. Inflazione sotto controllo ma dati discutibili

La recente flessione dell’inflazione potrebbe giustificare un atteggiamento più accomodante. Infatti, i mercati finanziari hanno già reagito prezzando aspettative di tagli dei tassi nel 2026, con i rendimenti dei Treasury in calo in risposta al dato CPI più basso.

La misura della Fed seguita più da vicino — il Personal Consumption Expenditures (PCE) — mostra comunque una dinamica in rallentamento verso valori più prossimi al target del 2%, pur restando sopra di esso.

2. Mercato del lavoro debole ma non in crisi

L’aumento della disoccupazione e la perdita netta di posti di lavoro nel trimestre indicano un mercato in raffreddamento sensibile, sebbene non in forte contrazione. Questo supporta la narrativa della Fed secondo cui la massima occupazione è ancora un obiettivo non pienamente consolidato.

3. Tagli dei tassi già iniziati e forward guidance

La Fed ha già attuato tre tagli dei tassi di interesse nel corso del 2025. Il comunicato ufficiale del FOMC evidenzia che l’istituto rimane “attentivo ai rischi” per l’occupazione e l’inflazione, e che ulteriori aggiustamenti saranno determinati dai dati in arrivo.

In sintesi, l’evoluzione dei due indicatori chiave — prezzi al consumo e mercato del lavoro — tende a favorire un orientamento accomodante con possibili ulteriori riduzioni dei tassi nel 2026, purché le pressioni inflazionistiche restino sotto controllo. Tuttavia, la Fed continuerà a monitorare la qualità dei dati, soprattutto dopo le distorsioni legate allo shutdown.

Conclusione

Questa settimana di dati macrostatistici ha delineato un contesto economico statunitense caratterizzato da:

  • Inflazione in rallentamento, ma con ampie incertezze statistiche;
  • Mercato del lavoro in moderato indebolimento con crescita occupazionale stagnante;
  • Pressioni divergenti sulla Fed, che dall’inizio del ciclo ha già tagliato i tassi e ora valuta se estendere questa traiettoria nel 2026.

Questa combinazione di segnali ha rafforzato l’idea nei mercati finanziari che la Fed potrebbe procedere con ulteriori tagli dei tassi per bilanciare il rallentamento economico senza compromettere la stabilità dei prezzi.

Curiosità:

Quando i mercati reagiscono alle parole (e non ai fatti)

Nei mercati finanziari moderni, la politica monetaria non si esercita solo attraverso i tassi di interesse o gli strumenti operativi, ma anche — e sempre di più — tramite il linguaggio. Le parole pronunciate da Fed, BCE e Bank of Japan sono oggi un vero e proprio strumento di politica monetaria, capace di muovere miliardi di dollari di capitalizzazione in pochi minuti, spesso senza che vi sia alcuna decisione formale a supporto.

Il potere del “forward guidance”

Dalla crisi finanziaria del 2008 in poi, le banche centrali hanno progressivamente affinato il cosiddetto forward guidance: la comunicazione intenzionale delle future intenzioni di politica monetaria. In un contesto di mercati fortemente anticipatori, ciò che conta non è solo cosa viene deciso, ma come viene raccontato.

Parole come “patient”, “vigilant”, “gradual” o “data-dependent” diventano segnali codificati, interpretati in tempo reale da algoritmi, desk di trading e investitori istituzionali. Un singolo aggettivo può modificare le aspettative sui tassi futuri, influenzando immediatamente rendimenti obbligazionari, valute e mercati azionari.

Fed: quando “patient” vale miliardi

Un caso emblematico riguarda la Federal Reserve. Storicamente, l’introduzione o la rimozione della parola “patient” nei comunicati del FOMC è stata letta come un segnale temporale: la Fed si dichiara “patient” quando non intende modificare i tassi nel breve periodo. La semplice eliminazione del termine ha spesso innescato forti movimenti sui Treasury e sull’azionario, pur in assenza di un cambio immediato dei tassi ufficiali.

Il mercato, in sostanza, prezza il futuro prima che accada, reagendo alle sfumature linguistiche come se fossero azioni concrete.

BCE: l’arte dell’ambiguità controllata

La Banca Centrale Europea ha fatto della comunicazione una vera disciplina. Espressioni come “monitoring closely”, “heightened vigilance” o “strong determination” sono entrate nel lessico dei mercati come segnali di possibili interventi futuri.

Celebre resta il “whatever it takes” di Mario Draghi nel 2012: nessuna misura annunciata, nessun piano dettagliato, ma una frase che da sola bastò a ridurre drasticamente gli spread sovrani e a stabilizzare l’eurozona. Un esempio estremo di come la credibilità della fonte, unita al linguaggio, possa sostituire l’azione.

BoJ: leggere tra le righe del silenzio

Nel caso della Bank of Japan, il potere delle parole è amplificato dalla loro scarsità. La BoJ è tradizionalmente più criptica e meno esplicita. Proprio per questo, minime variazioni di tono — ad esempio un riferimento più esplicito all’inflazione o ai salari — vengono analizzate con attenzione quasi maniacale.

Qui non è solo ciò che viene detto a contare, ma anche ciò che viene omesso. Il silenzio, in alcuni casi, diventa esso stesso un messaggio.

Finanza comportamentale e reazioni irrazionali

Dal punto di vista della finanza comportamentale, queste dinamiche mostrano come i mercati non reagiscano esclusivamente ai fondamentali, ma alle aspettative collettive. Il linguaggio delle banche centrali funge da ancora cognitiva: orienta le interpretazioni, riduce (o amplifica) l’incertezza e innesca reazioni spesso sproporzionate rispetto ai fatti.

In un ecosistema dominato da trading algoritmico e notizie in tempo reale, la semantica diventa volatilità.

Conclusione

Le banche centrali non parlano mai per caso. Ogni parola è calibrata, discussa e pesata, perché i mercati ascoltano più attentamente di quanto guardino le decisioni operative. In finanza, spesso, non è l’azione a muovere i prezzi, ma l’anticipazione dell’azione — e l’anticipazione nasce dalle parole.

Capire il linguaggio delle banche centrali significa, oggi, comprendere una parte essenziale del funzionamento dei mercati finanziari.

LA SETTIMANA IN BORSA

Settimana sull'ottovolante con salite e discese nel segno della volatilità che hanno comunque portato al segno più dopo cinque giorni di contrattazioni. Gli indici americani sono stati sostenuti da Nvdia, mentre quelli europei dagli industriali e dalle banche. Sembra esserci una rotazione settoriale dai titoli growth più volatili verso titoli più ciclici o value, dall'America verso l'Europa e mercati emergenti.

Specifica Europa

I dati europei mostrano una economia debole ma in crescita con prospettive di miglioramento a partire dal 2026 con uno 0,8% dallo 0,6% del 2025 fino a un prospettico 0,8% nel 2027 e 0,9% nel 2028. Dati che non fanno rizzare i capelli e dimostrano come l'economia area euro sia vulnerabile ad eventi esogeni. L'inflazione di contro ha ormai raggiunto il target del 2% e questo lascia presagire ulteriori tagli dei tassi di interesse per stimolare la crescita.

Performance settimanali degli indici europei

I principali listini europei hanno chiuso in rialzo con diverse velocità:

  • DAX (Germania): +0,24%
  • CAC 40 (Francia): +1,03%
  • FTSE MIB (Italia): +2,86%
  • FTSE 100 (Regno Unito): +2,57%
  • EURO STOXX 50: +0,19%
  • MSCI Europe: +1,56%
  • EURO STOXX 600: +1,60%

Specifica Usa

Il consueto rally di Natale fatica a concretizzarsi e le prossime sedute saranno caratterizzate dai bassi scambi a causa dei ponti che si prefigurano nel calendario. Il tema è sempre l'AI e ci sono prese di beneficio sui principali titoli legati al settore in questione, mentre continua a prendere banco l'argomentazione relative ai prossimi incontri della Fed e possibili altri tagli dei tassi di interesse.

Performance settimanale degli indici Usa e mondo

Anche i listini americani chiudono in positivo:

  • S&P 500: +0,26%
  • Nasdaq: + %
  • Russell 2000: + %
  • MSCI World: +0,12%
  • MSCI Emerging Market: -0,39%
  • MSCI China: +0,05%

Dati macro: 

Ho già scritto a sufficienza per quanto riguarda l'inflazione sotto controllo e un mercato del lavoro che mostra certezze e incertezze, ma rimane robusto. Questo alimenta prospettive per un proseguo nel primo trimestre dell'anno di una politica accomodante per quanto riguarda i tassi di interesse in America scongiurando un potenziale o peggio ancora un rallentamento economico e conseguente recessione.

Analisi tecnica e valutazioni: 

I principali indici continuano una fase laterale sui massimi storici senza la forza di migliorarsi e neanche la voglia di tornare indietro. La domanda che in molti si pongono e se siamo in una fase di distribuzione prima di un calo più marcato nell'anno nuovo oppure siamo in una fase di accumulo pronti a rompere gli indugi e continuare il trend rialzista iniziato nel 2023. Ormai è chiaro che tutto è rimandato all'anno nuovo.

Conclusioni

Si va verso l'ultima settimana di contrattazione tra feste e realtà con una certezza: si parla sempre di bolla AI e la borsa dove i titoli tecnologici del settore sono più presenti è ben distante dall'essere la migliore borsa del continente, anche senza contare l'effetto negativo del dollaro che la collocherebbe per noi europei tra le peggiori dei paesi occidentali, ha ottenuto un rendimento di circa un terzo rispetto la Spagna al 60% che non ha di certo fatto dell'AI il suo cavallo di battaglia.

Prospettive per la prossima settimana

Auguri e panettoni con scambi molto bassi perché quest'anno con soli cinque giorni di ferie si passa al dopo Epifania.

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