Analisi Settimanale Mercati Finanziari - 06 Dicembre 2025

Michele Clementi Michele Clementi - 06/12/2025 07:31

La Fed taglia (forse) la Boj alza (forse)

  • Storicamente, il Giappone ha mantenuto tassi di interesse molto bassi per anni, per contrastare la deflazione e stimolare la crescita interna.
  • Negli ultimi tempi, però, l’inflazione al 3% — favorita anche da costi dell’importazione più alti (visti il deprezzamento dello yen e le tensioni globali) — è rimasta persistente, spingendo la BoJ a riconsiderare la sua strategia.
  • Simultaneamente, aumentano le pressioni su salari e costo del lavoro, un indicatore che può giustificare un incremento dei tassi: più inflazione, più salari, più tassi.

Cosa sta accadendo ora: indicazioni di una svolta imminente

  • Il 1º dicembre 2025, il governatore della BoJ, Kazuo Ueda, ha dichiarato che la banca centrale sta considerando seriamente un aumento dei tassi nella riunione del 18–19 dicembre.
  • I mercati hanno reagito: i rendimenti dei titoli di Stato giapponesi (JGB) a 10 anni sono tornati ai massimi degli ultimi 17-18 anni, segnalando che gli investitori stanno già prezzando un rialzo.
  • Da 0,50% — attuale tasso ufficiale — è previsto un aumento fino a 0,75% nel breve termine.
  • Il governo giapponese sembra disposto a tollerare la manovra, malgrado in passato si fosse mostrato favorevole a politiche espansive: segno che anche l’esecutivo riconosce l’esigenza di un aggiustamento monetario.

Conseguenze: cosa può cambiare per l’economia giapponese e globale

• Per il Giappone

  • Un rialzo tassi potrebbe dare uno “stop” all’era dei tassi bassissimi e aiutare a contenere l’inflazione importata, rafforzando lo yen.
  • I rendimenti più elevati rendono i titoli di Stato giapponesi (JGB) più attraenti, potenzialmente richiamando capitali esteri verso Tokyo.
  • Allo stesso tempo, un aumento dei tassi può rallentare la spesa e gli investimenti interni — già sotto pressione per il calo dei consumi registrato di recente.

• Per mercati e investitori globali

  • Con rendimenti giapponesi in aumento, lo “spread” rispetto ai titoli europei o americani si assottiglia: questo può spostare flussi di capitale verso il Giappone, a scapito di altri mercati obbligazionari – stop al carry trade -.
  • La rivalutazione dello yen, e una possibile stabilizzazione della valuta, può influenzare export/import e le dinamiche competitive globali.
  • A livello macro, una BoJ più “normale” spalanca la porta a un ritorno del Giappone come protagonista nei grandi equilibri finanziari internazionali — una novità non da poco, considerando gli anni di tassi vicino a zero o negativi.

Rischi e incognite che restano

  • Come sottolineato dallo stesso governatore Ueda, è difficile stabilire con precisione quale sia il “tasso neutro” — cioè quello che non stimola né frena l’economia: la forbice stimata dalla BoJ va tra l’1% e il 2,5%.
  • Se i consumi interni non reagiscono (come suggerisce la recente flessione della spesa delle famiglie), un tasso più alto rischia di deprimere la domanda interna.
  • Sul fronte politico, mantenere un sostegno al debito pubblico — alto come rapporto debito/PIL al 230% il più alto al mondo — con tassi in crescita può complicare la gestione del bilancio statale.

Conclusione: una svolta attesa, ma da maneggiare con cura

Il Giappone sembra davvero vicino a una rottura con decenni di politica monetaria ultra-espansiva. Se la BoJ confermerà il rialzo a dicembre, sarà un segnale forte della volontà di normalizzare i tassi, contrastare l’inflazione e ridare slancio allo yen. Tuttavia, la strada resta delicata: bilanciare i rischi di un rallentamento economico interno con le esigenze di stabilità finanziaria e monetaria non sarà semplice.

Usa vs Venezuela: cosa succede?

-L’amministrazione del presidente Donald J. Trump ha intensificato la pressione su Caracas, suscitando timori su un possibile intervento diretto.

-Dietro le operazioni dichiarate come lotta al narcotraffico, gli Stati Uniti accusano elementi legati al regime del presidente Nicolás Maduro di essere coinvolti in traffico di droga e terrorismo — in particolare l’organizzazione Cartel de los Soles, designata come “foreign terrorist organisation” dal Dipartimento di Stato USA.

-Parallelamente, gli USA hanno condotto diverse operazioni militari anti-narcotici in acque caraibiche e nel Pacifico, colpendo presunte imbarcazioni dello spaccio. Queste azioni hanno causato dozzine di morti e suscitato accuse internazionali di violazioni del diritto internazionale.

Gli ultimi sviluppi principali

Martedì 3 dicembre 2025, Trump ha incontrato i suoi consiglieri di sicurezza per discutere i prossimi passi nella “campagna di pressione” contro il Venezuela.

-Nei giorni successivi, un gruppo di senatori statunitensi — repubblicani e democratici — ha proposto una risoluzione che richiederebbe un voto del Congresso prima di eventuali azioni militari dirette contro Caracas. Una mossa che riflette le crescenti preoccupazioni istituzionali su un’escalation.

-Trump ha anche ordinato la chiusura dell’aero­spazio venezuelano: l’amministrazione ha definito la decisione una misura di sicurezza nei confronti dei traffici illeciti, ma Caracas ha interpretato la mossa come un’azione aggressiva e una dichiarazione di guerra de facto.

-Di contro, il governo del Venezuela ha annunciato una “mobilitazione militare massiccia” a difesa del paese: dispiegamenti su terra, acqua e aria, mobilitazione di milizie, chiusura di frontiere e stato di allerta per ogni eventuale tentativo di intervento esterno.

 Le rivendicazioni di Caracas e la risposta internazionale

-Il Venezuela considera l’escalation statunitense come un tentativo di “colpo di Stato” o “regime change”, mascherato da operazioni anti-narcotici. Maduro e altri leader venezuelani definiscono la pressione come “terrorismo psicologico” e dichiarano che resisteranno a qualsiasi ingerenza esterna.

-Diverse nazioni — in particolare alleati del Venezuela come Cuba — hanno condannato l’approccio USA definendolo “eccessivamente aggressivo” e potenzialmente destabilizzante per l’intera regione caraibica.

-Nel frattempo, Caracas rifiuta la vendita – o cessione di quote – di asset strategici come la compagnia petrolifera controllata situation, opponendosi a decisioni giudiziarie statunitensi che pongono in discussione la proprietà di risorse chiave.

Rischi, scenari e incertezze

-Un’escalation militare — anche solo marittima o aerea — rischia di provocare un grave conflitto nell’area caraibica, con impatti sui migranti, sui flussi migratori e sull’equilibrio geopolitico regionale.

-Le operazioni USA, già al centro di critiche legali per possibile violazione del diritto internazionale (in particolare per i bombardamenti contro imbarcazioni vulnerabili), stanno alimentando tensioni diplomatiche anche con altri attori globali.

-In Venezuela, la mobilitazione del governo e la militarizzazione rischiano di destabilizzare la situazione interna, con conseguenze potenzialmente gravi per la popolazione civile.

Dove va il caso: scenari probabili

1- Pressione continua senza intervento diretto — Gli USA continuano con sanzioni economiche, operazioni navali, chiusura dell’aero­s­pazio e campagne diplomatiche, ma evitano un’invasione; il Venezuela resiste politicamente e militarmente.

2- Tentativo di negoziazione o transizione guidata dall’esterno — Possibili mediazioni (forse attraverso organizzazioni internazionali o paesi alleati) per una transizione pacifica, magari con riforme o nuove elezioni politiche in Venezuela.

3- Escalation militare — Scenario più pericoloso: un’azione militare diretta degli USA o un intervento militare multilaterale che potrebbe innescare una crisi regionale, con riflessi su Alleanze, migrazioni e stabilità dell’America Latina.

Curiosità:

Perché alla gente piacciono le notizie sui crolli di borsa

Le notizie sui crolli di borsa attirano sempre grande attenzione. Titoli allarmistici, grafici in picchiata, parole come “panico”, “crollo” e “disastro” dominano i media ogni volta che i mercati finanziari vacillano. Ma perché queste notizie esercitano un fascino così forte su una parte consistente dell’opinione pubblica, anche su chi non investe in borsa?

Una prima spiegazione è emotiva: il crollo è una forma moderna di tragedia. Come ogni evento drammatico, stimola curiosità, paura e un senso di coinvolgimento collettivo. Il declino improvviso di grandi numeri e ricchezze astratte ha qualcosa di spettacolare, quasi cinematografico. Il mercato che sale lentamente annoia; quello che cade di colpo intrattiene.

Ma c’è anche una ragione più sociale. Molte persone, semplicemente, non hanno risparmi investiti. Per loro, il crollo della borsa non è una perdita diretta, bensì un evento distante, a volte persino percepito come la “caduta dei potenti”. In una società dove le disuguaglianze economiche sono evidenti, il fallimento finanziario altrui può apparire come una sorta di rivincita simbolica: una rottura dell’ordine abituale in cui pochi guadagnano e molti arrancano.

Poi c’è il piano politico. Ogni crisi finanziaria è immediatamente interpretata come una crisi di governo. I partiti di opposizione vedono nei mercati in difficoltà un’arma narrativa potente: il segno che le politiche economiche sono sbagliate, che il governo non è credibile, che la rotta è pericolosa. Il crollo diventa la prova, anche quando non ne è realmente la causa.

In questi casi le notizie economiche vengono trasformate in messaggi politici semplificati: “Il governo ha fallito”, “Il Paese non è più affidabile”, “Siamo sull’orlo del baratro”. La complessità dei mercati globali scompare e resta una narrazione più immediata e più efficace sul piano del consenso. Il crollo non riguarda più gli investitori, ma la credibilità delle istituzioni. E per chi è già insoddisfatto o sfiduciato, queste notizie diventano una conferma delle proprie convinzioni: qualcosa non funziona, qualcuno ha fallito.

C’è persino una sottile felicità in chi si scopre “indenne” dal disastro perché non aveva voluto rischiare con le azioni ed ha investito in maniera prudente. Non tanto per la rovina altrui, quanto per il sollievo di essere fuori dal raggio d’azione. Il fallimento dei mercati diventa la prova che giocare non sempre conviene, che il rischio può distruggere e che, alla fine, chi non ha partecipato non ha perso nulla. Una forma di rivincita silenziosa che rimescola le carte della percezione del successo e del fallimento.

In definitiva, le notizie sui crolli di borsa piacciono perché mettono in scena una rottura dell’ordine. Svelano fragilità, ribaltano gerarchie, offrono a molti la sensazione di essere finalmente “dalla parte giusta”, anche solo per un momento. Tra paura e soddisfazione, tra rabbia e sollievo, il tracollo finanziario diventa uno specchio delle tensioni sociali più profonde.

Non è solo finanza: è psicologia collettiva. Ed è per questo che, quando i mercati crollano, il mondo non riesce a smettere di guardare.

LA SETTIMANA IN BORSA

Settimana piatta in attesa del dato sull'inflazione di venerdì che anticipa la riunione della Fed della prossima settimana. Poche le notizie marco e micro. Anche sul fronte geopolitico non ci sono stati progressi verso la pace in Ucraina o una escalation in Venezuela. Una settimana di noia.

Specifica Europa

A cercare tra le notizie ho trovato che l'Europa prosegue con la sua repressione delle Big Tech. Dopo aver inflitto una multa da 2,95 miliardi di euro a Google nei mesi scorsi, ha imposto una sanzione di 120 milioni alla X di Musk per aver violato le norme dell'Unione Europea sui contenuti on line in particolare sulla violazione della privacy per quanto riguarda la pubblicità. Presto toccherà a Meta.

Performance settimanali degli indici europei

I principali listini europei hanno chiuso contrastati:

  • DAX (Germania): +0,80%
  • CAC 40 (Francia): -0,10%
  • FTSE MIB (Italia): +0,17%
  • FTSE 100 (Regno Unito): -0,55%
  • EURO STOXX 50: +1,00%
  • MSCI Europe: +0,41%
  • EURO STOXX 600: +0,41%

Specifica Usa

Il dollaro frena i deboli rialzi delle borse per i nostri portafogli a causa del possibile taglio dei tassi della Fed e del possibile rialzo dei tassi in Giappone che frena il carry trade tra chi si indebita in Yen e compra Dollari speculando sul differenziale dei rendimenti che si va assottigliando, forse.

Performance settimanale degli indici Usa e mondo

I listini americani chiudono in positivo, meglio i mercati emergenti:

  • S&P 500: +0,31%
  • Nasdaq: +0,91%
  • Russell 2000: +1,04%
  • MSCI World: +0,46%
  • MSCI Emerging Market: +1,36%
  • MSCI China: +1,08%

Dati macro: 

In Europa il Pil è cresciuto dello 0,3% e l'inflazione è salita al 2,2%, mentre negli Usa è scesa al 2,8% nonostante le aspettative fossero per un 2,9%, con i redditi personali cresciuti dello 0,4% su aspettative di un +0,3%. Questo è un dato interessante in ottica del taglio dei tassi di interesse in occasione della riunione della Fed del prossimo 10 Dicembre.

Analisi tecnica e valutazioni: 

Nonostante 

Conclusioni

La settimana era attesa piata e piatta è stata. Meglio così, se pensiamo solo a due settimane fa quando si preannunciava l'inizio del bear market e lo scoppio della bolla. Al contrario, sono scattati diversi pattern su vari indici che misurano il comportamento degli investitori che in genere scattano sui minimi di ribassi a doppia cifra e ben più duraturi rispetto al ribasso di novembre durato poche sedute.

Prospettive per la prossima settimana

Dicembre è in genere il secondo migliore mese dell'anno, i money manager sembrano accordarsi a una tregua e portare i rendimenti a casa per il 31 dicembre per fare classifica e contenti i clienti che riceveranno un rendiconto positivo nella maggior parte dei casi dopo un anno che doveva sfociare in una crisi economica dell'economia reale e lo scoppio della bolla AI. Quindi auspichiamo in un lento avvicinarsi alle feste senza perdere la calma in maniera scomposta alle parole di Powell, qualsiasi esse siano. Godiamoci un anno a doppia cifra, con una ventina e poco più di record storici, sperando di migliorarci ancora nelle prossime settimane.

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