L’India sta valutando l’introduzione di dazi su alcuni prodotti provenienti dagli Stati Uniti, in risposta alle tariffe imposte da Washington su acciaio e alluminio. Secondo un documento presentato all’Organizzazione Mondiale del Commercio, la misura prevedrebbe un aumento delle tariffe su prodotti selezionati di origine statunitense, anche se non sono stati specificati quali. Gli Stati Uniti avevano già applicato dazi del 25% su acciaio e alluminio importati, una politica avviata durante la presidenza Trump. L’India, secondo produttore mondiale di acciaio grezzo, afferma che queste misure colpiscono esportazioni indiane per un valore di 7,6 miliardi di dollari. I due Paesi cercano comunque un accordo commerciale.
“Quando si parla di dazi tra India e Stati Uniti, sembra di assistere a una litigata tra vicini di casa, ma con meno dignità e più furbizia da mercato rionale”. Siamo all’ennesimo teatrino dove tutti fanno la voce grossa e nessuno ha il coraggio di dire che il re è nudo: l’America sbraita e mette le mani avanti, l’India si gonfia il petto e minaccia ritorsioni, e tutto il mondo osserva la pantomima aspettando che qualcuno finalmente si decida a buttare il tavolo per aria.
Pensateci: l’America ha deciso che il suo acciaio vale oro e quindi schiaffa un bel 25% di tariffa sui prodotti che non sono “Made in USA”. Un po’ come quei bottegai che si lamentano che la merce degli altri costa meno, quindi aumentano i prezzi della loro sperando che così la gente li prenda per scemi e continui a comprare da loro. Ma la scena migliore arriva dopo, quando l’India, che produce acciaio a palate e ha tariffe più alte di un usuraio sotto steroidi, piange e si lamenta davanti alla WTO come la vecchia che fa la spesa e poi si lamenta coi commessi. E la risposta? Minaccia di dare fuoco ai biscotti americani, mettendo dazi a random su prodotti made in USA, senza nemmeno dire quali, tanto per far vedere che anche loro hanno le palle (oppure fanno finta, come fanno spesso i politici quando devono fare i duri davanti alle telecamere).
E poi c’è l’arte sublime dell’ipocrisia: Trump che accusa l’India di essere un “tariff abuser”, come se lui fosse la Madonna dei dazi. “Chi di dazio ferisce, di dazio perisce”, direbbe qualche nonna, ma qui tutti fanno finta di non sapere chi ha iniziato, come se stessero giocando a guardie e ladri. A furia di mettere barriere e tariffe, tanto alla fine la pagherete sempre voi consumatori, mica loro che siedono sulle poltrone e si grattano la pancia tra una dichiarazione e l’altra.
“Ma perché si fanno tutte queste manovrine?” Per provare a stringere un accordo commerciale, ovvio. Praticamente, la solita partita di poker dove tutti bluffano e nessuno ha le carte giuste. L’India promette di ridurre il “tariff gap” di due terzi, come se fosse un favore e non una presa per il culo, mentre in realtà continua a cambiare le regole del gioco ogni cinque minuti. Intanto, aumenta del 12% le tariffe sull’acciaio che arriva da fuori, soprattutto dalla Cina, perché la paura di restare senza poltrone è sempre quella. In sostanza, una gara a chi la spara più grossa e a chi resta in piedi più a lungo senza perdere la faccia: peccato che la faccia l’abbiano persa tutti da un pezzo.
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Smettete di credere alle favole del “dazi buoni per l’economia nazionale”. L’unica economia che si ingrassa è quella dei soliti noti e di chi ci sguazza nella confusione. Se proprio dovete comprare, scegliete chi produce con meno menate possibili e non vi fa pagare una gabbia di dazi solo per far contenti quattro politici in cravatta. O, ancora meglio, fatevi furbi: comprate usato, scambiate, evitate di alimentarli questi giochi da bambini viziati al governo. Tanto loro vincono sempre, voi sempre cornuti e mazziati.
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