Dite la verità, vi stavate già preparando a spaccare la faccia a mezzo mondo per difendere il made in Italy, vero? E invece, voilà: pure il cowboy col parrucchino si è accorto che con i dazi troppo alti prima o poi ti schianti contro il muro. Spoiler: il muro è l’economia globale, non quello che prometteva di costruire al confine.
Ora si scopre che Trump, il paladino della linea dura, quello che doveva mettere la tassa pure sull’aria che si respira, all’improvviso diventa morbido come la mozzarella di bufala in agosto. Cinque - sì, CINQUE - passi indietro in poche settimane. E non sono mica ritocchini insignificanti, eh: si parla di robe che fino a ieri erano “mai nella vita”. Avete presente quelli che urlano “mai una birra alla spina, solo artigianale!”, e il giorno dopo li beccate a scolare Peroni dal bicchiere di plastica alla sagra? Ecco, la coerenza è quella.
Il bello è sentire il teatrino: “È solo flessibilità, non è che sto cambiando idea”. Sì, come chiamare dieta la fame chimica del lunedì dopo il weekend a sbranar fritti misti. L’ha detto pure Trump: “Do loro una tregua, è flessibilità”. Certo, flessibilità. Tipo quando il babbo ti becca con la pagella a pezzi e tu gli dici che era tutto un esperimento sociale. Intanto, però, le tariffe si allentano, le eccezioni spuntano ovunque come i funghi dopo la pioggia, e i mercati, che di solito piangono come bambini senza il ciuccio, improvvisamente risalgono la china, almeno finché dura la commedia.
Ma la chicca arriva quando si tocca la Cina. Prima il 145% di dazio, così, tanto per far vedere chi ce l’ha più duro. Poi, a stretto giro, “vabbè ma non sarà mica per sempre, dai, magari scende”. Insomma, il solito trucco: ti minaccio, ti faccio tremare le ginocchia, poi rilascio la presa e sembro quasi generoso. Strano, vero? Ma guarda un po’: appena si sente odore di crisi delle aziende amiche - tipo Apple & co - i dazi spariscono come le promesse elettorali dopo il voto.
Il mercato, che è un animale isterico, sussulta e si aggrappa a ogni carezza, pure se fatta con la spranga. “Speriamo che Trump ci lasci almeno le briciole”, sospirano i manager, come se fossero mendicanti davanti alla mensa dei poveri. Ma tranquilli, la tempesta non è passata: Trump fa il buono solo se serve a farsi bello davanti alle telecamere e alle aziende che frignano più forte. Basta che qualcuno gli ricordi che può pigiare di nuovo il tasto “Dazi”, e siamo punto e a capo.
E la “strategia” qual è? Semplice: tira il sasso, nascondi la mano, poi gridi che era tutto parte del piano. “Se non vi spostate la produzione qui, vi massacro dopo la pausa caffè”. Una minaccia col fiocco, insomma. I mercati si tengono il fiato sospeso, ma la danza dei dazi continua: avanti, indietro, una pacca sulla spalla e un calcio nel culo quando serve. Tutto il resto è fuffa da conferenza stampa. Voi intanto guardate e imparate: qui l’unica certezza è l’incertezza. E la coerenza, come sempre, è una bestemmia in chiesa.
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