Ecco che ci risiamo, con la solita sceneggiata dei dazi tra USA, Cina ed Europa. Da una parte abbiamo gli americani che, appena vedono uno straniero vendere qualcosa, pensano subito a mettere una tassa con la stessa delicatezza con cui ci si gratta il culo dopo un’ora nel traffico. Dall’altra, c’è la Cina, maestri nella recita della vittima offesa, che rispondono con tutta la dignità di chi ha appena trovato il marito a letto con l’amante e pretende pure le scuse. E nel mezzo, noi europei, sempre con l’aria da figli di nessuno: quando si tratta di prendere sberle, ci siamo, ma appena bisogna alzare la voce, subito a piagnucolare che il mercato va tutelato, la concorrenza sleale, il cavolo a merenda.
“Dazi, tariffe, minacce, ritorsioni… Il solito copione, ma con meno fantasia di una fiction su Canale 5”.
Adesso, la Casa Bianca manda lettere “amichevoli” ricordando che la pausa sui dazi scade. Amichevoli, un corno: sono le stesse lettere che ti lascia il vicino sul parabrezza perché hai parcheggiato male, solo che invece di minacciare di chiamare i vigili, qui si minaccia il tonfo dell'economia mondiale. Trump - sì, sempre lui, quello con la stessa finezza di un cinghiale in una cristalleria - promette di raddoppiare le tariffe sull’acciaio e l’alluminio. Dal 25% al 50%. Non è una trattativa, è una rapina a mano armata, ma con la giustificazione che “lo fanno tutti”. Certo, la Cina “ha violato l’accordo”, gli USA “hanno violato l’accordo”, ognuno fa la faccia da poker e intanto dietro le quinte si sfregano le mani perché tanto a pagare siete sempre voi. Sì, voi che vi lamentate degli aumenti al supermercato come se fosse colpa della cassiera.
L’OCSE si sveglia ora, con la notizia sconvolgente che “la guerra dei dazi rallenta l’economia mondiale”. Grazie al cazzo, chi l’avrebbe mai detto? Siamo al livello di scoprire che l’acqua bagna. Ma intanto le previsioni di crescita per il G20 vanno giù come la pressione quando il nonno sale le scale. Gli investimenti crollano, i prezzi impazziscono, ma l’importante è continuare a tirare la corda finché non si spezza. Poi piangeremo ancora per l’ennesima crisi “inaspettata”.
Nel frattempo, i negoziatori a Parigi, quelli che dovrebbero risolvere la questione, si incontrano come due ex che fanno finta di essere amici ma non vedono l’ora di scannarsi. Intanto, le uniche cose certe sono: la confusione legale (vedi tribunali che dicono sì, no, forse), le minacce reciproche e la prospettiva concreta che i consumatori paghino il conto per le guerre di nervi dei soliti noti. D’altronde, che pretendete? Siamo in un mondo dove chi urla più forte si porta a casa la torta, e agli altri restano le briciole.
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