Un giudice federale degli Stati Uniti ha stabilito che Google non dovrà vendere il browser Chrome o il sistema operativo Android, ma dovrà porre fine ai contratti di esclusiva per la ricerca e condividere alcuni dati con i concorrenti. Questa decisione, parte di un rimedio antitrust storico, arriva dopo che il Dipartimento di Giustizia aveva chiesto la separazione di alcune attività di Google, richiesta però respinta dal giudice Amit Mehta. Le nuove restrizioni impediranno a Google di stipulare accordi esclusivi con aziende come Apple o Mozilla e obbligheranno la società a fornire dati a concorrenti qualificati. Google ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso, il che potrebbe ritardare l’entrata in vigore delle misure.
Non ci sarà alcun macello. Nessun gigante tagliato a pezzi, nessuna pioggia di fuoco digitale. Google resta intatta, con tutte le sue braccia ben salde, pronta a continuare a darvi in pasto risultati di ricerca, pubblicità mirate e illusioni di libertà. Il giudice ha deciso che smembrarla sarebbe stato un colpo troppo forte, magari rischioso per il fragile equilibrio del mercato. Sì, perché evidentemente l’universo digitale si regge su un browser e quattro app - roba da far tremare i polsi a chiunque pensi che la concorrenza sia una religione.
Però, attenzione. Questa volta la bacchettata arriva: basta con i contratti esclusivi che blindavano Chrome e Search ovunque, come se la concorrenza fosse un fastidio e non la base del libero mercato. Niente più accordini sottobanco per rendere Google la vostra unica porta d’accesso al mondo. E la ciliegina sulla torta? Google dovrà pure condividere un po’ dei suoi dati con i concorrenti - ma solo con quelli “qualificati”. Non sia mai che il vicino di casa vi chieda come va la ricerca delle vacanze e voi siate costretti a rispondere.
Cominciate a sognare un’abbondanza di alternative? Calma, che la rivoluzione non è gratis né immediata. Google farà ricorso, si batterà fino all’ultimo capello per mantenere il suo impero. E anche quando le regole entreranno in vigore, avrete sì forse più scelta - ma tocca vedere se qualcuno si farà avanti davvero. Mica basta aprire la porta del pollaio perché le galline imparino a volare.
E poi, volete mettere la tragicommedia di vedere la borsa festeggiare? Gli investitori brindano: Google non si smembra, la torta resta intera, le briciole magari le divideranno con qualche affamato concorrente. Il mercato è salvo, le app restano, i dati pure, solo un pochino meno monopolio e un pochino più palcoscenico per chi vuole provare a entrare. Ma alla fine, chi di voi cambierà davvero motore di ricerca o browser, quando la pigrizia è il vero monopolista?
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Sapete perché Google è tanto affezionata ai contratti esclusivi? Perché la vera concorrenza fa paura solo sulla carta: nella pratica, la maggior parte di voi non schioderebbe mai il proprio dito da quell’icona colorata, anche se domani vi regalassero un browser con sopra la faccia di Dante Alighieri, la Divina Commedia integrale e una pizza Margherita digitale.
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Se volete davvero “sfuggire” al monopolio, provate a cambiare motore di ricerca per una settimana. Poi guardatevi allo specchio e chiedetevi chi è più pigro, voi o il giudice. E, già che ci siete, ricordate: quando usate un servizio gratis, il prodotto siete voi. Ma tranquilli, nessuna sentenza vi salverà dalla vostra stessa abitudine.
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