Siete mai stati a un’asta di paese, di quelle dove la gente si scambia galline e sedie traballanti, ma tutti vogliono sembrare dei finanzieri di razza? Bene, la scena tra Stati Uniti ed Europa non è molto diversa. Solo che invece delle galline, si tratta di dazi e merci industriali. L’UE che corre a togliere i dazi sulle merci industriali USA sembra la zia che, pur di non far arrabbiare il nipote viziato, gli riempie la calza di soldi invece che di carbone.
Tutta questa solerzia fa quasi tenerezza, ma poi si capisce che sotto sotto c’è paura. Paura di vedersi arrivare una nuova batosta commerciale, magari sottoforma di tariffe su auto, formaggi o - per non farci mancare nulla - tecnologia e semiconduttori.
Trump, con la solita delicatezza di un elefante in una cristalleria, minaccia nuovi dazi e restrizioni se l’Europa non si allinea ai suoi desideri. E l’Europa si difende balbettando sui suoi regolamenti e sulle sue digital taxes, che guarda caso colpiscono proprio i colossi americani. Ma non preoccupatevi, sono solo coincidenze. I dirigenti europei rassicurano con la stessa convinzione di un impiegato delle poste che promette: “Arriverà tutto in tempo”. Intanto l’industria continentale tiene il fiato sospeso, perché ogni volta che gli Stati Uniti starnutiscono noi ci becchiamo l’influenza.
Poi c’è l’India, che nel frattempo si prende una bella dose di tariffe punitive perché compra petrolio russo. Non bastava essere l’ago della bilancia tra Washington e Mosca: adesso si becca pure una bella stangata che rischia di far saltare decenni di “amicizia” americana.
Perché la verità è questa: il commercio globale è quella partita a risiko in cui nessuno vuole perdere un territorio, ma appena gli gira male spostano le regole a proprio piacimento. Se c’è da mettere in ginocchio le industrie tessili indiane per fare la faccia feroce a Putin, che problema c’è?
Non scordiamoci la Corea del Sud, che cerca disperatamente di strappare una riduzione dei dazi, ma ottiene solo una pacca sulla spalla e un “ci penseremo”. Nel frattempo, gli Stati Uniti portano avanti indagini come se fossero la maestra col registro, pronti a segnare una nota a ogni importatore di mobili che passa dalla dogana. E il Canada, poveretto, si adegua come il compagno di banco che copia sempre i compiti, togliendo le sue tariffe per non restare indietro.
Mentre i tribunali americani si divertono a giocare con i ricorsi sulle tariffe “reciproche”, le aziende fanno quello che hanno sempre fatto: passano le giornate a cercare di capire quale sarà la prossima mossa del politico di turno, invece di concentrarsi su come produrre qualcosa di decente. Chi ci perde? Ma fatevi la domanda davanti allo specchio, forse la risposta la conoscete già.
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