Nvidia chiuderà la stagione degli utili delle Big Tech presentando i risultati del secondo trimestre mercoledì, in un contesto segnato da cambiamenti nelle relazioni con l’amministrazione Trump. Dopo la revoca del divieto di vendita dei chip in Cina, Nvidia dovrà versare il 15% delle vendite al governo statunitense. Gli analisti prevedono utili per azione di 1,01 dollari e ricavi di 46,2 miliardi, in crescita rispetto allo scorso anno. L’azienda dovrebbe essere esentata dal nuovo dazio del 100% sulle importazioni di semiconduttori. Nvidia, che è recentemente diventata la prima società a superare i 4.000 miliardi di capitalizzazione, continua a beneficiare della domanda nel settore AI.
Oggi tutti a spellarsi le mani per Nvidia, come se inventare la pietra filosofale del XXI secolo fosse diventato routine. Siamo passati dal “non si può esportare!” al “sì, va bene, ma pagate il pizzo”, tutto nel giro di un paio di trimestri. L’effetto speciale? Un bel 15% di tassa da versare allo Stato, che tanto qualcuno ci deve sempre guadagnare, ma guai a chiamarlo bancomat pubblico. E voi che speravate di vedere una qualche coerenza nella politica industriale, accontentatevi delle montagne russe: prima il divieto, poi la tassa, infine l’eccezione per chi “costruisce in casa”. Ma dove volete che vada un chipmaker: a spalare sabbia in mezzo al deserto o a impiantare fabbriche dove ci sono già le fornaci di microchip? Qui ormai se non hai una linea diretta con chi comanda, rischi solo la lotteria delle sanzioni.
Nel frattempo le azioni salgono, scendono, fanno lo yo-yo come il vostro umore davanti a una bolletta della luce. Quattro trilioni di capitalizzazione, eppure se domani dovesse fiatare uno stagista di Taipei, ci troveremmo tutti in modalità panico sugli indici. I “momentum investors” sono lì che aspettano come i rapaci sul filo elettrico: crescita al 50%? Troppo poco, meglio la botta del 150% dello scorso anno, così ci si illude di vivere sempre in piena estate IA, con i server che sbocciano come margherite.
Non vi basta il teatro finanziario? C’è pure il balletto diplomatico: la Cina che accusa Nvidia di infilare “backdoor” nei chip, Nvidia che dice “macché, tutto pulito”, e intanto si preparano versioni ad hoc per il mercato del Dragone, sempre però col timore che da un giorno all’altro cambi il vento e chiudano i rubinetti dei dollari. In compenso, se l’affare va male, la colpa è dei “guidance” che non sono allineati alle aspettative: come se la realtà dovesse piegarsi al report di Bloomberg o alle previsioni di qualche analista che ha visto solo le slide PowerPoint.
Le università fanno ricerca per Nvidia e Nvidia fa ricerca grazie alle università, ma chi ci guadagna davvero? Forse qualche cervellone che si ritrova stipendiato a progettare chip che finiranno a calcolare quanti like prenderà il prossimo video del vostro influencer preferito. Poi però non lamentatevi se le aziende italiane devono accontentarsi di RAM riciclata e GPU di seconda mano: qui si innova solo a parole, mentre altrove si stampano soldi a ogni ciclo di silicio.
Mentre i rack dei superchip si moltiplicano, la gente comune si chiede ancora se debba fidarsi dell’IA o dell’ennesima promessa di crescita perpetua. Intanto, chi ha investito nei titoli giusti si gode la sua rendita, chi è rimasto fuori commenta sui social che “è tutta una bolla”. La verità? Non la troverete nei comunicati stampa né nelle versioni ufficiali: le grandi manovre le fanno altrove, voi accontentatevi dell’osso che vi buttano.
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